domenica 28 aprile 2013

Mary Wollstonecraft




E’ stata una scrittrice inglese e una femminista ante litteram. Moglie dell’anarchico William Godwin e madre di Mary Shelley, lasciò l’Inghilterra nel 1792 per assistere alla Rivoluzione francese. In quello stesso anno pubblicò il suo celebre manifesto Rivendicazione dei diritti della donna, che influenzerà i movimenti femministi futuri. Il testo rivendicava la parità dei diritti della donna, da raggiungere attraverso una radicale riforma del sistema scolastico . Si schiera in favore del miglioramento dell’educazione dei cittadini, di modo che si potesse così giungere ad un maggior rispetto delle donne e alla formazione di figure femminili meno civettuole ma più consapevoli. Nei suoi scritti Mary Wollstonecraft punta l'indice contro la discriminazione della donne. Lei riteneva che la natura avesse certamente creato delle differenze tra i generi sessuali, ma che la civiltà le avesse incrementate, anche attraverso un'educazione di stampo sessista. Infatti, l'istruzione cattiva ed insufficiente era per lei alla base della miseria delle donne e per questo proponeva una riforma dell'istituto scolastico, capace di "produrre" individui migliori (classi miste - maschi e femmine - ed integrazione dell'educazione scolastica con quella casalinga). Non negava l'esistenza di donne sciocche e superficiali, ma ciò non era dovuto a fattori biologici, bensì all'educazione finalizzata proprio alla concezione di figure femminili di questa tipologia. Nel celeberrimo Vindication of the Rights of Woman (1792) così descrive la condizione femminile dell'epoca :


« Le donne si trovano dovunque a vivere in questa deplorevole condizione: per difendere la loro innocenza, eufemismo per ignoranza, le si tiene ben lontane dalla verità e si impone loro un carattere artificioso, prima ancora che le loro facoltà intellettive si siano fortificate. Fin dall'infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro della donna e la mente quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia dorata, contenta di adorarne la prigione. Le donne, assieme agli uomini, sono rese deboli e amanti del lusso dai piaceri rilassanti che il benessere procura; ma in aggiunta a questo, sono rese schiave della propria persona, e devono renderla attraente in modo che l'uomo presti loro la sua ragione per guidarne bene i passi malsicuri»

A questo proposito, la Wollstonecraft polemizza con James Fordyce, John Gregory e Jean-Jacques Rousseau, che nei loro scritti negavano alle donne il diritto all'educazione; Rousseau, nell'Émile (1762), riporta infatti che le donne avrebbero dovuto essere educate in modo da piacere all'uomo. Le opere di Mary Wollstonecraft sono state lungamente ignorate, finché dagli anni Sessanta del XX secolo i suoi scritti tornarono finalmente alla ribalta grazie all'ondata femminista. Nel periodo successivo emergerà una nuova immagine della scrittrice, vista come prodotto della sua epoca e tuttavia viene rilevata la continuità del suo pensiero con le successive correnti femministe.

venerdì 26 aprile 2013

Ludwig Wittgenstein

 Nella sua opera complessa e multiforme Wittgenstein ha spaziato all'interno di varie discipline occupandosi di logica, di matematica, di filosofia del linguaggio e di psicologia. Nato a Vienna il 26 aprile 1889, mostra un ingegno precocissimo per tutte le attività che hanno in qualche modo a che fare con l'intelletto e con le materie astratte.
Prima di dedicarsi interamente alla filosofia, si laurea in Ingegneria e sviluppa interessi molto legati alla logica e alla matematica. La sua carriera professionale è disordinata quanto la sua vita, tanto che il suo percorso accademico contempla periodi passati a insegnare come Maestro nelle scuole elementari tanto quanto cattedre di Ingegneria al Politecnico.
Frequentarlo era tutt'altro che facile. Umorale e introverso, aveva diverse fobie, fra cui quella per gli insetti. Inoltre, aveva una serie di comportamenti bizzarri non facili da sopportare per chi gli stava vicino. Ad esempio, lavava i piatti nella vasca da bagno, e puliva il pavimento cospargendolo di foglie di tè bagnate che poi scopava via; camminava in un modo tanto esagitato che in un soggiorno in Irlanda i vicini gli impedirono di attraversare i loro campi, perché spaventava le pecore; Oppure, indossò per anni l'uniforme dell'impero austro-ungarico, ormai inesistente. Ma si potrebbe andare avanti a lungo.
Le prime opere di Wittgenstein sono fortemente influenzate dal pensiero del cosiddetto "Circolo di Vienna", composto , fra gli altri, da M. Schlick, O. Neurath e R. Carnap. La riflessione, in questo caso, è caratterizzata da un'aggressione senza precedenti nella storia della filosofia alla Metafisica. Ampio rilievo è invece concesso al mondo dell'esperienza e a quello della matematica e della logica. Questi autori, in sintesi, tentano di salvare il versante sperimentale e quello formale estremizzandoli e saldandoli assieme. Questo approccio trova la sua sintesi nel "principio di verificazione" per il quale "sono dotate di significato solo le proposizioni verificabili empiricamente". Sarebbero cioè autentiche solo quelle proposizioni che permettono un confronto diretto tra il linguaggio usato e la realtà empirica. La conclusione, dunque, è che le proposizioni della metafisica risultano essere del tutto prive di senso, in quanto riguardano ciò che sta oltre la dimensione dell'esperienza.
Ma Wittgenstein si spinge oltre: la filosofia deve abbandonare la riflessione intorno a quei problemi (come, ad esempio, l'esistenza di Dio) che non hanno riscontro empirico. Una sua famosa sentenza, infatti, recita che "Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere."
Questo impianto teorico sarà successivamente smontato da Karl Popper. Secondo Popper, il criterio di demarcazione fra ciò che è "scientifico" e ciò che non lo è (cioè fra ciò che è sperimentabile e non), non può essere il "principio di verificazione" poiché, rispolverando Hume, un qualsiasi numero di verificazioni non ci permette di considerare vera una teoria. Anzi, Popper sostiene addirittura che una sola falsificazione è sufficiente per dimostrare la falsità di un'intera teoria, ossia che la teoria, almeno in un caso, non è valida. Non esiste, quindi, un criterio generale di verità o di certezza. Il sapere scientifico è congetturale, fallibile.
Ad ogni modo, questo è solo un aspetto della fecondissima filosofia di Wittgenstein, fondamentale sotto qualsiasi ottica la si voglia considerare (etica, estetica, logica, ecc.).
Wittgenstein, che fu anche: progettista di aquiloni per meteorologia nel 1908, e di motori a reazione e propellenti fino al 1911; eremita in un fiordo norvegese (per meditare sulla logica), nel 1913; mecenate di artisti austriaci poveri (tra cui Rilke), nel 1914; combattente volontario, nella prima guerra mondiale; erede di una enorme fortuna, a cui rinunciò nel 1919; giardiniere in un monastero. Come insegnante si rifiutò di far lezione a troppi studenti, preferendo dettare a pochi di essi degli appunti che gli altri potevano leggere a casa (e che divennero il celebre "Libro blu").
La filosofia era per lui una sofferenza: credeva che non fosse possibile pensare decentemente se non si vuole farsi del male. Inoltre, si lamentava che il suo pensiero fosse sistematicamente frainteso (oltre che plagiato), senza abbandonare però la pretesa di esporlo soltanto in forma poetica (criterio in base al quale la sua opera andrebbe forse giudicata).
La casa in cui Wittgenstein si spense il 29 aprile 1951 apparteneva al suo medico, il dottor Edward Bevan, che aveva acconsentito ad accoglierlo già alla fine di gennaio, dopo aver constatato il rapido avanzamento del tumore alla prostata, per evitargli il ricovero in ospedale. Gli ultimi giorni del filosofo fino alla sua morte, avvenuta a Cambridge esattamente cinquanta anni fa, sono anch'essi ricchi di aneddoti, a cominciare dalle ultime parole, confidate alla padrona di casa e destinate al gruppo fedele di amici e discepoli raccolti nella stanza attigua: "Dite loro che ho avuto una vita meravigliosa

William Shakespeare



Il dono tuo, il quaderno, è dentro la mia mente


Scritto tutto in memoria imperitura,

Che assai più durerà di quelle vuote pagine,

Oltre ogni termine, fino all'eternità.

O almeno fino a che la mente e il cuore

Avranno da natura la facoltà di esistere,

Finchè al labile oblìo non daran la lor parte

Di te, il tuo ricordo non potrà cancellarsi;

Quei miseri appunti non potrebbero tanto contenere,

Né mi occorre un registro per segnare il tuo amore;

Per questo ho osato dar via il tuo quaderno,

Fidando invece in quello che meglio riceve.

Il tenere un qualcosa che serva a ricordarti

Equivarrebbe a ammettere ch'io so dimenticarti.



Life in Italy is Ok .Foto del 22 Aprile

L’incontro,  è stato introdotto da Valerio Meoni, tecnico volontario Emergency in Sierra Leone, bella e giovanissima persona che  ha raccontato la sua esperienza lasciandocene vedere i colori e sentirne il valore; ed è proseguito con la proiezione dell’interessante e ficcante documentario  Life in Italy is Ok  (prodotto da Emergency in collaborazione con lab8, regia di Gianfranco Marino , che  nel 2012 ha vinto il premio come 1° classificato nella sezione lungometraggi e il premio di miglior film in assoluto della VII edizione del festival internazionale Un film per la pace di Gorizia), che  mostrandoci come attraverso il Programma Italia, Emergency offre cure gratuite e di elevata qualità ai migranti e alle fasce più deboli della popolazione,  ha aperto riflessioni a tutto campo sul nostro tempo ed i suoi paradigmi prevalenti. A seguire le nostre letture sul tema ” Migranti: tra indifferenza e speranza” alternate alla buona musica di Andrea Socci con il suo sax.  Alcune foto.




Ole Petter Arnulf Øverland


E' nato a Kristiansund il 27 aprile 1889 ed è morto a Oslo il 25 marzo del 1968. Esponente della sinistra radicale, nelle sue opere letterarie si è sempre costantemente schierato contro il nazionalsocialismo e nel 1941 viene arrestato e deportato a Berlino nel campo di concetramento di Sachsenhausen. Dopo la guerra, rientra in patria continuando il suo impegno politico e nazionale. Øverland è tra i più prolifici e autorevoli autori e scrittori della letteratura norvegese del ’900

                                                           ***

Non avevamo spade!

Credevamo nella pace.

Nella ragione, nel lavoro,

Nel valore della vita!

Non credevamo agli omicidi e agli incendi

Nei paesi lontani

credevamo in un conquistarore

Ragionevole e retto.





Non avevamo scudi

Non avevamo alcun timore

Avevamo solo amici

Ma poi siamo stati colti di sorpresa

E’ accaduto all’improvviso di notte

Ci siamo svegliati e il nostro Paese era occupato

Avevamo solo amici

Ora siamo abbandonati!



E molti di noi sono caduti,

e molti ne seguiranno

Ma abbiamo altre forze:

Sopravviveremo a tutto!

Abbiamo una sacra fede

che ci dona pazienza e calma:

sappiamo che lo spirito è eterno,

E la vita tornerà sempre!


             estratto dall’omonima raccolta “Vi overlever alt! (Sopravviveremo a tutto!) di Arnulf Øverland

lunedì 22 aprile 2013

Vladimir Vladimirovič Nabokov


"Non posso fare a meno di pensare che nell’amore ci sia qualcosa di essenzialmente     sbagliato.

Tra amici si litiga o ci si perde di vista, e anche tra parenti stretti, ma non c’è questo spasimo, questo pathos, questa fatalità che sta attaccata all’amore.
L’amicizia non ha mai l’aspetto della condanna.
Perché dunque l’amore è così misteriosamente esclusivo?
Si possono avere mille amici, ma si deve amare una sola persona."

                                                                                               Vladimir Vladimirovič Nabokov 
                                                                                                                    La vera vita di Sebastian Knight



sabato 20 aprile 2013


Questa locandina è il nostro invito a tutti coloro che credono che la differenza possa produrre arricchimento umano; come l'attività e l'impegno profuso da Emergency  in tanti anni di solidarietà verso le genti  più bisognose  del pianeta.

Karen Blixen



INCONTRO
Ah, quando sei lontano e nessuno
più nomina il tuo nome
quando ovunque mi rechi sento
cupo e gelido un vuoto
comincio a credere che tu sia solo un sogno
nato dalle brame della mia mente,
e a questo sogno ho dato vita e nome
e in ultimo il tuo aspetto
ma quando poi ti vedo e posso
sentire ancora le tue forti parole,
e posarti ancora il capo sulla spalla
ascoltare ancora il suono della tua voce
allora so che il resto è solo notte,
malvagi sogni che presto scorderò,
so che tu mi porti nella luce
e che in te dimorano la vita e il giorno.


*****

Io conosco il canto dell'Africa,
della giraffa e della luna nuova africana distesa sul suo dorso,
degli aratri sui campi e delle facce sudate delle raccoglitrici di caffè,
ma l'Africa conosce il mio canto ?
L'aria sulla pianura fremera' un colore che ho avuto su di me ?
E i bambini inventeranno un gioco nel quale ci sia il mio nome ?
O la luna piena farà un'ombra sulla ghiaia del viale che mi assomigli ?
E le aquile sulle colline Ngong guarderanno se ci sono ?

                                                                Dal Film " La mia Africa "



venerdì 19 aprile 2013

Charlie Chaplin




Sorridi


Sorridi, anche se il tuo cuore soffre
Sorridi, anche se si sta spezzando
Quando ci sono nuvole nel cielo,
"Non ci penserai"
Se sorridi
Attraverso la tua paura ed il tuo dolore
Sorridi e forse domani
vedrai il sole levarsi e splendere
Per te.
Illumina il tuo volto con la gioia
Nascondi ogni traccia di tristezza.
Anche se una lacrima
potrebbe essere sempre così vicina
Questo è il tempo in cui devi continuare a tentare,

Sorridi, che senso ha piangere?
Scoprirai che vale ancora la pena di vivere.
Se solo sorridi.





Charlie Chaplin















lunedì 15 aprile 2013

Leonardo


La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede.
                                                                                                                                                                                                                Leonardo da Vinci

domenica 14 aprile 2013

Tóth Árpád


Poeta ungherese (Arad 1886 - Budapest 1928). Collaborò con varî giornali e fu tra i principali rappresentanti del gruppo della rivista progressista Nyugat ("Occidente"). Già dalla prima raccolta "Serenata all'alba",(1913) emergono i toni parnassiani e impressionisti che caratterizzeranno tutta la sua produzione poetica "Su galea pigra", (1917); "Tóth ÁrpádLa gioia fugge",(1922); "Dall'anima all'anima", (1928). T. ha svolto inoltre una pregevole opera di traduttore (J. Keats, Ch. Baudelaire, Th. Gautier, G. de Maupassant, ecc.).



Poesia di Aprile



Ancora assonnato


è il prato invernale

..che riposa

Lenta, silenziosamente, vi cresce

la barba dell'erba; e tu aprile,

ti diverti

a tirarla a spettinarla

con un pettine di vento che è odoroso

più del miele.

E tremano e ridono nel bosco

il cespuglio la siepe:

perché sulla loro

tenera pelle sta ora facendo

il solletico l'aprile scherzoso.

Ora ogni bosco è un pazzo

brividare d'allegria. Ancora

non ci sono fronde: ci sono

soltanto gemme bionde:

e tu guardi il ronzante

nascere delle foglie ed intanto

già s'abbandonano i rami

al gaio abbraccio del vento...









sabato 13 aprile 2013

Seamus Heaney




Poeta e saggista nordirlandese (contea di Devon, Irlanda del Nord, 1939). Ha studiato e si è laureato a Belfast, dove ha insegnato letteratura inglese alla Queen's University fino al 1972, anno in cui ha lasciato per sempre l'Irlanda del Nord per trasferirsi in Irlanda, ad Ashford. Intanto pubblicava le sue prime raccolte di poesie Death of a Naturalist (1966; Morte di un naturalista), Door into the Dark (1969; Porta sul buio), Wintering Out (1972) e North (1976; Nord). Dopo aver vissuto e insegnato per alcuni anni a Dublino, nel 1984 veniva chiamato all'Università di Harvard e da allora si divide tra Stati Uniti e Irlanda. In quello stesso anno usciva Station Island, che segnava uno dei momenti più alti della poesia di Heaney. Tra le altre opere si ricordano: New Selected Poems 1966-1987(1990), Seeing Things (1991; Vedere cose), The Spirit Level (1996; La misura dello spirito),e tra i saggi, Preoccupations. Selected Prose 1968-1978 (1980), The Government of Tongue (1988; Il governo della lingua), The Readress of Poetry (1995; La riparazione della poesia), Electric Light (2003). È stato insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1995.




Vangando


Quatta quatta con il colpo in canna

Fra medio e pollice sta la penna.


Sotto la finestra un raspo netto all'internarsi

Della vanga nel terreno ghiaioso:

È mio padre che dissoda. Guardo in basso,


Finché sotto sforzo, a groppa curva

Sulle aiuole, torna venti anni indietro

Piegandosi a tempo per i solchi

Di patate che vangava.


A posto sul vangile lo scarpone,

Saldo fulcro del manico il ginocchio,

Cavava gambi, ficcava a fondo la lucente lama

Per spargere patate nuove che noi raccattavamo

Adorandone fresca la durezza nella mano.


Per Dio, il vecchio ci sapeva fare

Con la vanga. Come il suo vecchio.


Mio nonno in una giornata tagliava più torba

Di chiunque altro nella torbiera di Toner.

Una volta gli portai il latte in una bottiglia

Sciattamente turata con la carta.

Si raddrizzò per bere e subito riprese


Con cura a fare tacche e fette, spalandosi le zolle

Dietro le spalle, sempre più a fondo

A cercare quella buona. Scavando.


Il freddo afrore di terriccio di patate, risucchio e stacco

Da torba in guazzo, secco taglio della lama

Nelle radici vive, mi si risvegliano in testa.

Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.


Fra medio e pollice

Quatta quatta sta la penna.

Sarà la mia vanga.





giovedì 11 aprile 2013

Jerry Guacci



 
Jerry Guacci (a  destra, insieme a Lino Capolicchio ed al professore
Daniele di Lorenzi ) alla presentazione di "Infine il chiarore"

Il cielo è nuovo

Il cielo è nuovo
 questa mattina;
non ho ricordi
né rabbie covo.
 C’è ordine:
più non s’ostina
alla tortura la mente turbata,
forse estasiata.
Intorno: azzurro intenso…
guardo e non penso.




 dalla raccolta" Infine il chiarore" Ed. Thyrus

Incontri di POESIA


                    
                                *****
I nostri migliori auguri  ai due autori ed un ringraziamento particolare a Jerry che conosciamo da tempo, per la forza con cui ci comunica e ci comunicherà le sue "vibrazioni" che, capaci di oltrepassare l'identità di ognuno, ci regalano la consapevolezza  di essere, compagni dello stesso stupendo viaggio: vivere.   

domenica 7 aprile 2013

WILLIAM WORDSWORTH


       
    




Considerato con S.T. Coleridge l'iniziatore del movimento romantico in Inghilterra, si distingue come il più grande poeta della natura; una natura percepita con una forza e una sensibilità assolutamente originali e senza precedenti nella letteratura inglese. La sua "nuova" concezione della poesia risulta dalla fusione del mondo interiore del poeta con quello esterno; il suo compito nella composizione delle Lyrical ballads, che scrisse insieme con Coleridge, fu quello di "proporsi di trasfigurare con il fascino della novità le cose di tutti i giorni e di destare un sentimento analogo al soprannaturale".



*** 

 
                 E’ questo il primo giorno mite di marzo,
Più fragrante di momento in momento,
Col pettirosso che cinguetta in cima al larice
Che sorge accanto alla nostra casa.
Aleggia nell’aria una benedizione
Che sembra infondere un senso di gioia
Agli alberi spogli, alle nude montagne
Ed ai verdi campi erbosi.
Sorella mia! Ho un desiderio:
Ora che la nostra colazione è terminata,
Fai presto, lascia le tue faccende mattutine,
E vieni fuori a goderti il sole.
Edward verrà con te, e ti prego,
Presto, mettiti il tuo abito silvestre,
E non portar libri, chè questo giorno
Noi lo dedicheremo al riposo.
Nessuna tetra parvenza sarà legge
Per il nostro vivente calendario:
Da oggi, amica mia, data per noi
L’inizio dell’anno.
Amore, che ora ovunque rinasce,
Migra furtivo di cuore in cuore,
Dalla terra all’uomo, dall’uomo alla terra,
- E’ questa l’ora dei sentimenti.
Ora un momento potrà darci di più
Di cinquant’anni di ragionamenti;
Le nostre menti succhieranno da ogni poro
Lo spirito della stagione.
Poche tacite leggi si daranno i nostri cuori
Cui prestare lunga obbedienza;
Per l’anno a venire prenderemo
L’esempio da quest’oggi.
E dal beato potere che aleggia
D’Intorno, quaggiù e su in cielo,
Trarremo la misura delle anime nostre,
Accordandole alla nota d’amore.
Orsù vieni, sorella mia! Vieni ti prego,
Presto, mettiti il tuo abito silvestre,
E non portar libri, chè questo giorno
Noi lo dedicheremo al riposo.

venerdì 5 aprile 2013

Il profumo dei fiori ... della mente


Poiché il tempo non è una persona che potremo raggiungere sulla strada quando se ne sarà andata, onoriamolo con letizia e allegrezza di spirito quando ci passa accanto.

giovedì 4 aprile 2013

Isidore Ducasse o Lautréamont



Poeta francese, nato a Montevideo nel1846, morto a Parigi il 24 novembre 1870. Il padre, François, era "cancelliere delegato" del consolato di Francia a Montevideo. Venuto a Parigi nel 1867 per frequentare il politecnico, il L. seguì qualche corso di liceo e poi si volse completamente alla letteratura, conducendo vita solitaria, tutto preso dalle sue truci e grandiose fantasie. Nel 1868 pubblicò in una plaquette, anonimo, il primo dei   ChaChants de Maldoror; l'anno seguente, completò i sei canti, pubblicandoli sotto il nome di Comte de Lautréamont, preso, con una lieve modificazione, da un romanzo di E. Sue. Nell'ultimo tempo della sua vita, l'attività del L. è ancora più oscura: lavora a un testo di cui non è stata ritrovata che la prefazione (Poésies), frequenta riunioni rivoluzionarie e vi tiene discorsi violentissimi. Non si hanno particolari sulla sua morte improvvisa e misteriosa, dato che l'incartamento a essa relativo è stato distrutto. La critica è ancora divisa circa il valore poetico dei Chants de Maldoror, scritti in una prosa di ampio respiro, tumultuosa e frenetica. In una lettera il L. afferma di aver "cantato il male, come han fatto  Mickiewickz, Byron, Milton, Southey, Alfred de Musset e Baudelaire..."; aggiunge: "naturalmente ho un po' esagerato il diapason per fare del nuovo nel senso di quella letteratura sublime che non canta la disperazione se non per opprimere il lettore, e fargli desiderare il bene come medicina". Ma è verosimile che tali giudizî siano destinati al pubblico, poiché la disperazione e la rivolta sono la sostanza stessa dei Chants de Maldoror, cui non si può non riconoscere, come il poeta stesso voleva, "un'infernale grandezza". Insieme a residui di romanticismo spettacoloso e declamatorio, vi si trovano anticipazioni di una nuova poesia intesa a cogliere l'essenza ultima della realtà: nuova poesia che raggiungerà una delle sue più alte espressioni nelle Illuminations di Arthur Rimbaud.
                                                                             ***
Ferita

Ma non mi lamenterò più. Ho ricevuto la vita
come una ferita e ho proibito al suicidio
di guarire la cicatrice. Voglio che il Creatore
ne contempli, in ogni ora della sua eternità,
il crepaccio spalancato.

mercoledì 3 aprile 2013

George Herbert






E' stato un poeta e oratore inglese.
Viene commemorato come santo dalla Chiesa anglicana, che lo ricorda il 27 febbraioo e da quella luterana che lo inserisce nel proprio calendario dei santi al 1° marzo. Nonostante sia vissuto solo fino a 40 anni, la sua importanza, come poeta è sempre più aumentata anche se, è da notare, nessuna delle sue opere è stata pubblicata mentre era in vita. I poemi dei suoi ultimi anni, scritti quando era pastore a Bemerton vicino a  Salisbury sono ineguagliati nella letteratura, combinando una profonda spiritualità con una inesausta sperimentazione. Il loro linguaggio rimane fresco e ispirato anche ai nostri giorni. La famiglia di Herbert era ricca, eminente, intellettuale ed amante dell'arte, la madre, Magdalen, era patrona e amica di John Donne e altri poeti, il fratello Edward Herbert, primo barone di  Cherbury, nominato cavaliere e Lord Herbert di Cherbury da re Giacomo I d'Inghilterra, fu un poeta e filosofo che cercava di riconciliare il Cristianesimocon il razionalismo ed è spesso citato come il "padre del deismo inglese".
Herbert bilanciò una iniziale carriera secolare con gli ultimi anni di contemplazione teologica e di umile lavoro parrocchiale. Dopo aver conseguito la laurea al Trinity College di Cambrige Herbert ebbe il posto di "pubblico oratore" di Cambridge, responsabile di porgere ampollosi saluti in latino ai visitatori importanti; una posizione cui probabilmente teneva date le sue capacità poetiche. Nel 1624 divenne membro del Parlamento. Entrambe queste attività indicano un intento di intraprendere una carriera a Corte. Tuttavia, nel 1625 si verifico la morte di  Giacomo I, che aveva mostrato di favorirlo e forse di volerlo nominare ambasciatore. Da qui la scelta -per certi versi pragmatica - di Herbert di scegliere quella che probabilmente era la sua iniziale inclinazione: una carriera nella Chiesa d'Inghilterra.
Nel 1626 prese gli ordini e la cura di una parrocchia rurale nel Wiltshire a circa 75 miglia a sud ovest di  Londra dove si rivelò un onesto e coscienzioso pastore, attento alla cura spirituale e anche fisica dei parrocchiani. Sul letto di morte consegnò il manoscritto il Tempio, la sua raccolta di poesie, a Nicholas Ferrar, il fondatore di una comunità religiosa semi-monastica a   Little Gidding (un nome oggi molto più conosciuto attraverso le poesie di  T.S. Eliot). Herbert chiede a Ferrar di pubblicare le poesie se le riteneva capaci di "essere di aiuto a qualche anima bisognosa" oppure di bruciarle. Prima del 1680 The Temple aveva raggiunto le tredici edizioni. Sempre postumo nel   1652 venne pubblicato Priest to the Temple, or, The Country Parson his Character and Rule of Holy Life (Sacerdote al tempio o il parroco di campagna, suo carattere e ruolo nella vita spirituale), trattato sulla devozione, in prosa.

Il poeta Herbert è costantemente alla ricerca di ciò che Jacques Deridda ha chiamato un "significare trascendentale", il numero dei nomi di Dio, l'ultima sillaba del tempo registrato, la divina estensione del Libro della Genesi (In principio Dio disse...), sospiro che restituisce come rivelato e conoscibile tutto ciò che è stato finora detto e scritto: la vita e la parola come una sacra inscrizione. Herbert ha avuto una grande influenza sui poeti romantici da Coleridge a Emily Dickinson e  Hopkins, fino al grande T.S.Eliot. Molto studiato dalla critica strutturalista, alla ricerca di uno storico esempio che desse corpo all'importanza della struttura nella poesia. Herbert era l'ideale per il carattere sperimentale di molte delle sue opere; fra tutte L'altare e Ali di Pasqua, in cui le parole vengono ordinate a disegnare ali d'angelo orizzontali o il profilo di un altare, dove la struttura da interna si fa esterna e si inoltra nella ricerca della forma fino al limite dell'impostazione tipografica

***
Amore.

L'Amore mi aprì le braccia
e la mia anima indietreggiò,
colpevole di fango e di vergogna.
Ma, con rapido sguardo, l'Amore
vide la mia debolezza fin dal mio primo istante
e venne più vicino chiedendomi dolcemente
se qualcosa mi mancava.
"Un invitato" risposi "degno di essere qui".
"Tu sarai quello", disse l'Amore.
Io, il maligno, l'ingrato?
O mio amato, non posso neppure guardarti.
L'Amore prese la mia mano e replicò sorridendo:
- "Chi ha fatto i tuoi occhi, se non io?"
- "E' vero, Signore, ma li ho sporcati;
lascia la mia miseria vada dove si merita".
- "E non sai tu" disse l'Amore "chi ne portò su di se il castigo?"
- "Mio amato, allora ti servirò".
- "Occorre che tu ti sieda", disse l'Amore, "che tu gusti il mio cibo".
E io mi sedetti e mangiai.



lunedì 1 aprile 2013

Andersen, Hans Christian

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 Scrittore danese (Odense 1805 - Copenaghen 1875). Uno dei grandi autori di fiabe dell'Ottocento, riutilizzò in modo originale il grande patrimonio delle fiabe nordiche, infondendo in esso un caratteristico spirito ottimista. Un profondo sentimento idillico-religioso e un'amara conoscenza della vita si fondono, nelle migliori fiabe, a creare quella duplicità e simultaneità di visione fantastico-realistica, che gli consente i più arditi cambiamenti di registro, i più audaci impasti di tinte.
Vita e opere - Figlio di un povero calzolaio, trascorse l'infanzia nel suo chiuso mondo di sensitivo e fantasioso perdigiorno. Nel 1819 andò, in cerca di fortuna, a Copenaghen e si cimentò nel canto, nella recitazione e nella danza, ma senza successo. I suoi primi tentativi letterarî nello stile romantico-ironico di Hoffmann, di Heine e di Waiblinger: "Viaggio a piedi dal canale di Holmen alla punta orientale di Amager", 1829, "Schizzi d'un viaggio nel Harz e nella Svizzera sassone", 1831, "Poesie", 1830, sono cose molto modeste; superficiali e sconnessi, ma non privi di colore, sono invece i romanzi "L'improvvisatore", 1834-35 e "Un semplice violinista", 1837.  Pur continuando a coltivare il romanzo, "Le due baronesse"; trad. inglese e ed. danese 1848 e la sua infelice passione per il teatro,"La nuova camera della puerpera", 1845, già nel 1835 . aveva cominciato a scrivere le prime ("Fiabe narrate ai bambini", cimentandosi in quel "genere minore" che, per semplicità di struttura e duttilità di materia, meglio s'adattava al suo estro fantastico. Tra il 1835 e il 1872 ne uscirono, in fascicoli quasi annuali, circa centocinquanta. La materia tradizionale tenue e umile, fiabesca, mitica, leggendaria, è qui sollevata a dignità d'arte da una lingua viva parlata antiletteraria, vibrante d'immediatezza e d'intimità. Intimamente legati al mondo delle fiabe, per tono e prospettiva, sono il Libro figurato senza figure", 1840  e singole parti dei molti libri di viaggio scritti tra il 1840 e 1857 in Italia e in Grecia, in Turchia, in Svezia e in Spagna. Importante per la ricostruzione biografica, ma di scarso valore artistico la prolissa autobiografia "Il libro della vita", scritto 1832-33: dall'infanzia alla prima affermazione letteraria intorno al 1830; trad. ted. Das Märchen meines Lebens premessa alla prima ed. dei suoi scritti completi, 1847, poi rielaborata e condotta fino al 1855 in "La fiaba della mia vita"; una continuazione che giunge fino agli ultimi anni è stata pubblicata nel 1877.

Rostand Edmond


 Poeta e drammaturgo (Marsiglia 1868 - Parigi 1918). Dopo aver debuttato col volume di versi Les musardises (1890), diede i suoi primi saggi teatrali, animati da una fantasia pittoresca: Les romanesques (1894); La princesse lointaine (1895); La samaritaine (1897). Immenso successo riportò la sua "commedia eroica" Cyrano de Bergerac (1897); seguirono L'Aiglon (1900), dramma sul figlio di Napoleone, e la favola scenica Chantecler (1910), opere tutte di facile e piacevole verseggiatura. Nel 1901 entrò a far parte dell'Académie Française. Postuma fu pubblicata La dernière nuit de Don Juan (1921). n Il figlio Maurice (Parigi 1891 - ivi 1968), anch'egli scrittore, fu autore di poesie (Poésies complètes, 1910-1948, 1950), romanzi, numerosi lavori teatrali, e di un volume di memorie (Confession d'un demi-siècle, 1948).
                                                            
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Né vedo in verità
perché la vostra bocca sia così timorosa.
Se la parola è dolce, che sarà mai la cosa?
Irragionevol tema non vi turbi la mente:
poco fa non lasciaste quasi insensibilmente
l’arguto cinguettio per passar senza schianto
dal sorriso al sospiro e dal sospiro al pianto?
Ancora un poco, un poco solo ancora, vedrete:
non c’è dal pianto al bacio che un brivido…’
‘Tacete !’
‘Ma poi che cosa è un bacio?
Un giuramento fatto un poco più da presso,
un più preciso patto,
una confessione che sigillar si vuole,
un apostrofo roseo messo tra le parole
t’amo
un segreto detto sulla bocca, un istante
d’infinito che ha il fruscio di un’ape tra le piante,
una comunione che ha gusto di fiore,
un mezzo per potersi respirare un po’ il cuore
e assaporarsi l’anima a fior di labbra…’

                                                                                 dal Cyrano de Bergerac