sabato 31 ottobre 2015

John Keats



Solitudine

Solitudine, se vivere devo con te,
sia almeno lontano dal mucchio confuso
delle case buie; con me vieni in alto,
dove la natura si svela, e la valle,
il fiorito pendio, la piena cristallina
del fiume appaiono in miniatura;
veglia con me, dove i rami fanno dimore,
e il cervo veloce, balzando, fuga
dal calice del fiore l'ape selvaggia.
Qui sarei felice anche con te.
Ma la dolce conversazione d'una mente innocente,
quando le parole
sono immagini di pensieri squisiti, è il piacere
dell'animo mio. E' quasi come un dio l'uomo
quando con uno spirito affine abita in te.

Che mi ami tu lo dici

Che mi ami tu lo dici,
ma con una voce
Più casta di quella di una suora
che per se sola i dolci vespri canta,
quando la campana risuona
su, amami davvero!
Che mi ami tu lo dici,
ma con un sorriso
freddo come un alba di penitenza,
suora crudele di San Cupido
devota ai giorni d’astinenza
su, amami davvero!
Che mi ami tu lo dici,
ma le tue labbra
tinte di corallo insegnano meno gioia
dei coralli del mare
mai che si imbroncino di baci
su, amami davvero!
Che mi ami tu lo dici,
ma la tua mano
non stringe chi teneramente la stringe;
è  morta come quella d’una statua
mentre la mia brucia di passione
su, amami davvero!
Su, incendiamoci di parole
e  bruciandomi sorridimi – stringimi
come devono gli amanti – su, baciami,
e l’urna, poi, delle mie ceneri
seppelliscila nel tuo cuore
su amami davvero!

venerdì 30 ottobre 2015

Carlos Drummond De Andrade


 
Fuga

La fuga dal reale,
ancora più lontano la fuga dal fantastico,
più lontano di tutto, la fuga da se stesso,
la fuga dalla fuga, l'esilio
senza acqua e parola, la perdita
volontaria di amore e memoria,
l'eco
che non corrisponde più all'appello, e questo che si fonde,
la mano che diviene enorme e che sparisce
sfigurata, tutti i gesti insomma impossibili,
se non inutili,
l'inutilità del canto, la purezza
del colore, né un braccio che si muova né un'unghia che cresca.
Non la morte tuttavia.

Ma la vita: captata nella sua forma irriducibile,
senza più ornamento o commento melodico,
vita a cui aspiriamo come pace nella stanchezza
(non la morte),
vita minima, essenziale; un inizio; un sonno;
meno che terra, senza calore; senza scienza né ironia;
quello che si possa desiderare di meno crudele: vita
in cui l'aria, non respirata, mi avvolga;
nessuno spreco di tessuti; loro assenza;
confusione tra mattino e sera, senza più dolore,
perché il tempo non si divide più in sezioni; il tempo
eliminato, domato.
Non ciò che è morto né l'eterno o il divino,
soltanto quello che è vivo, piccolo, silenzioso, indifferente
e solitario vivo.
Questo io cerco.



Lettera

È molto tempo, si, che non ti scrivo.
Sono invecchiate tutte le notizie.
Sono invecchiato anch'io: guarda, in rilievo,
questi segni su di me, non delle carezze

(così leggere) che mi facevi in viso:
sono ferite, spine, sono ricordi
lasciati dalla vita al tuo bambino, che al tramonto
perde la sapienza dei bambini.

La mancanza che ho di te non è tanto
all'ora di dormire, quando dicevi
"Dio ti benedica", e la notte si spalancava in sogno.

E quando, allo svegliarmi, vedo a un angolo
la notte accumulata dei miei giorni,
e sento che sono vivo, e che non sogno.


martedì 27 ottobre 2015

Dylan Marlais Thomas

Specialmente se il vento d'ottobre

Specialmente se il vento d'ottobre
Con dita gelate punisce i miei capelli,
Artigliato dal sole cammino sulle fiamme
E getto un granchio d'ombra sulla terra,
In riva al mare, udendo il chiasso degli uccelli
E la tosse del corvo sugli stecchi invernali,
Il cuore indaffarato che trema se lei parla,
Sparge sangue sillabico, drena le sue parole.

Rinchiuso dentro una torre di parole,
Traccio sull'orizzonte che cammina con gli alberi
Verbali forme di donne e le file
Dei bimbi nel parco che hanno gesti di stella.
Fatemi farvene alcune con vocali di faggi,
Alcune con voce di quercia, fino dirvi note
Dalle radici di molte spinose contee.
Fatemi farvene alcune con discorsi dell'acqua.

Dietro un vaso di felci la pendola oscilla
Mi dice il verbo dell'ora, il senso nervoso
Sfreccia sul disco astato, declama il mattino,
E annuncia tempo ventoso nel gallo banderuola.
Fatemi farvene alcune coi segni del prato.
L'erba che mi segnala tutto ciò che conosco
Col verminoso inverno spunta ttraverso l'occhio.
Fatemi dirvi qualcosa dei peccati del corvo.

Specialmente se il vento d'ottobre
(Fatemi farvene alcune con sortilegi autunnali,
Lingua di ragno e colle chiassoso del Galles)
Con pugni di rape punisce la terra,
Fatemi farvene alcune con parole senz'anima.
Svuotato è il cuore che, compitando nello zampettio
Dell'alchemico sangue, avvertiva l'avvento della furia.
In riva al mare udite uccelli dalle scure vocali. 




Il pagliaccio sulla luna

Le mie lacrime sono come un quieto turbine
di petali da una certa magica rosa;
e tutto il mio dolore fluisce dalla fessura
di nevi e cieli dimenticati.
Penso che se toccassi la terra,
si sbriciolerebbe,
è così triste e bella,
così trepidamente simile a un sogno.




Dai sospiri

Dai sospiri nasce qualcosa,
Ma non dolore, questo l’ho annientato
Prima dell’agonia; lo spirito cresce,
Scorda, e piange;
Nasce un nonnulla che, gustato, è buono;
Non tutto poteva deludere;
C’è, grazie a Dio, qualche certezza:
Che non è amore se non si ama bene,
E questo è vero dopo perpetua sconfitta.
Dopo siffatta lotta, come il più debole sa,
C’è di più che il morire;
Lascia i grandi dolori o tampona la piaga,
Ancora a lungo egli dovrà soffrire,
E non per il rimpianto di lasciare una donna in attesa
Del suo soldato sporco di parole
Che spargono un sangue così acre.
Se ciò bastasse, se ciò bastasse a dar sollievo al male,
Il provare rimpianto quando quello è perduto
Che mi rendeva felice nel sole,
Quanto felice il tempo che durava,
Se ambiguità bastassero e abbondanza di dolci menzogne,
Potrebbero le vacue parole sostenere tutta la sofferenza
E guarirmi dai mali.
Se ciò bastasse, osso, tendine, sangue,
Il cervello attorcigliato, i lombi ben fatti,
Cercando a tastoni la materia sotto la ciotola del cane,
L’uomo potrebbe guarire dal cimurro.
Ché tutto quello che va dato, io l’offro:
Briciole, stalla, e cavezza.
 

martedì 20 ottobre 2015

Paul Valéry

I PASSI

Nati dal mio silenzio,
posati santamente,
lentamente, i tuoi passi
procedono al mio letto
di veglia muti e gelidi.

Persona pura, ombra
divina, come dolci
i passi che trattieni.
O iddii, quali indovino
i doni che mi attendono
sopra quei piedi nudi!

Se da protese labbra,
per' acquietarlo, all'ospite
dei miei sogni prepari
d'un bacio il nutrimento,
non affrettarlo il gesto
tenero, dolcezza
di essere e non essere:

io vissi dell'attesa
di te, il mio lento cuore
non era che i tuoi passi. 

 



UN CHIARO FUOCO

Un chiaro fuoco m'abita e vedo freddamente
la violenta vita, illuminata tutta...
io non posso più amare oramai che dormendo
i suoi graziosi atti mescolati di luce.

I giorni miei, la notte, mi riportano sguardi
dopo i primi momenti di un infelice sonno,
quando sparsa nel buio è la sventura stessa,
tornano a farmi vivere, mi danno ancora occhi.

Se erompe quella gioia, un'eco che mi sveglia
ributta solo un morto, alla mia riva di carne.
E al mio orecchio sospende, il mio riso straniero

come alla vuota conchiglia un sussurro di mare,
il dubbio - sul bordo di un'estrema meraviglia,
se io sono, se fui; se dormo oppure veglio...


venerdì 16 ottobre 2015

Marina Ivanovna Cvetaeva

Sono contenta che voi siate ammalato non di me
 
Sono contenta che voi siate ammalato non di me,
sono contenta che io sia ammalata non di voi,
che mai la pesante sfera terrestre
mancherà sotto i nostri piedi.

Sono contenta che si possa essere buffe -
lasciate andare - e non giocare con le parole,
e non arrossire di un'onda soffocante
appena sfiorandosi con le maniche.

Sono contenta, inoltre, che voi davanti a me
tranquillamente abbracciate un'altra,
non mi augurate di bruciare nel fuoco
infernale perché bacio non voi.

Che il mio dolce nome, mio tenero,
non ricordiate né di giorno né di notte - invano...
Che mai nel silenzio di una chiesa
canteranno sopra di noi: Alleluja!

Vi ringrazio con il cuore e con la mano
per il fatto che voi - senza saperlo!- così
mi amate: per la mia tranquillità notturna,
per la rarità degli incontri alle ore del tramonto,

per le nostre non-passeggiate sotto la luna,
per il sole non sopra le nostre teste,
per il fatto che voi siate ammalato -ahimé!- non di me,
per il fatto che io sia ammalata - ahimé!- non di voi. 


Ai miei versi scritti così presto
che nemmeno sapevo d'esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.
Irrompenti come piccoli démoni
in un sacrario di sogno e d'incenso,
ai miei versi di di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!
Sparsi fra la polvere dei magazzini,
dove nessuno li prese o li prenderà,
i miei versi, come i vini pregiati,
avranno la loro ora.






Indizi
 
Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.

Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.

Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.

Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.

Riconosco l’amore dal boato
- dal trillo beato -
lungo tutto il corpo!


Michail J. Lermontov




Sulla strada esco solo
Sulla strada esco solo.
Nella nebbia è chiaro il cammino sassoso.
Calma è la notte.
Il deserto volge l'orecchio a Dio
   e le stelle parlano tra loro.
Meraviglioso e solenne il cielo!
Dorme la terra in un azzurro nembo.
Cosa dunque mi turba e mi fa male?
Che cosa aspetto, che cosa rimpiango?
Nulla più aspetto dalla vita
  e nulla rimpiango del passato,
cerco solo libertà e pace!
Vorrei abbandonarmi, addormentarmi!
Ma non nel freddo sonno della tomba.
Addormentarmi, con il cuore
placato e il respiro sollevato.
E poi notte sentire
la dolce voce dell'amore
cantare carezzevole al mio orecchio
  e sopra di me vedere sempre verde
una bruna quercia piegarsi e stormire.



 Le nuvole
Nuvole celesti eternamente erranti!
Sulla steppa azzurra come perle infilate,
dal caro nord verso il meridione
scorrete, come me, esiliate.
Cosa vi spinge: il volere del destino?
Una segreta invidia? Un’ira manifesta?
O vi opprime il peso di un delitto?
O degli amici la venefica maldicenza?
No, vi hanno annoiato gli aridi campi…
A voi sono estranee passioni e pene;
in eterno fredde e in eterno libere,
voi una patria e un esilio non avete.



Io son colui che tu 
Io son colui che tu nella silente
notte hai sentito accanto a te presente,
il cui pensiero al cuor t'ha bisbigliato,
la cui tristezza tu confusamente hai inteso,
la cui immagine hai sognato;
...colui che ogni speranza che riviva
fa cenere, colui che ognuno schiva
ed a cui impreca ogni essere vivente.
Per me lo spazio e il tempo sono niente:
sono il flagel d'ogni mio schiavo umano,
di conoscenza e libertà sovrano,
colui che il male impone alla natura,
il nemico del cielo, eppur se vuoi,
il mio poter depongo ai piedi tuoi.
A te ho portato in umiltà
la pura preghiera dell'amore, a te il tormento
ch'io provo in terra, per la prima volta
e le mie prime lacrime terrene...




domenica 4 ottobre 2015

Francesco d’Assisi

 

Il Cantico delle Creature

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.





 

venerdì 2 ottobre 2015

LOUIS ARAGON

CREDO

Credo in te come al profumo
Come al cantar d’uccello nelle tenebre
Credo in te come al mare
Credo in te come alla rosa schiusa a mezzanotte
Credo in te sola in faccia al mondo
Là dove il sole si fa neve e l’aria fuoco
Io credo in te sola all’orizzonte dell’uomo
Ti credo a perdifiato
Alla vertigine e allo stordimento
Alla caduta e all’annientamento
Io credo in te come alla vita
Si crede nel momento della morte
Io credo in te senza tenermi ad alcun sostegno
Io credo in te nell’assenza e nel sonno
O  mia magnolia d’insonnia
Io credo in te nel frastuono e nel silenzio
Io credo in te nel dolore
Io credo in te come alla prova dell’esistenza
Come allo strazio dell’addio
Io credo in te più della mia stessa ombra
Io credo in te come l’acqua nera dai riflessi d’oro
Come la polvere al piede nudo
Io credo in te come alla pioggia il deserto
Come la solitudine all’abbraccio
Come all’orecchio crede il grido.
Credo in te come al profumo
Come al cantar d’uccello nelle tenebre
Credo in te come al mare
Credo in te come alla rosa schiusa a mezzanotte
Credo in te sola in faccia al mondo
Là dove il sole si fa neve e l’aria fuoco
Io credo in te sola all’orizzonte dell’uomo
Ti credo a perdifiato
Alla vertigine e allo stordimento
Alla caduta e all’annientamento
Io credo in te come alla vita
Si crede nel momento della morte
Io credo in te senza tenermi ad alcun sostegno
Io credo in te nell’assenza e nel sonno
O  mia magnolia d’insonnia
Io credo in te nel frastuono e nel silenzio
Io credo in te nel dolore
Io credo in te come alla prova dell’esistenza
Come allo strazio dell’addio
Io credo in te più della mia stessa ombra
Io credo in te come l’acqua nera dai riflessi d’oro
Come la polvere al piede nudo
Io credo in te come alla pioggia il deserto
Come la solitudine all’abbraccio
Come all’orecchio crede il grido.
Credo in te come al profumo
Come al cantar d’uccello nelle tenebre
Credo in te come al mare
Credo in te come alla rosa schiusa a mezzanotte
Credo in te sola in faccia al mondo
Là dove il sole si fa neve e l’aria fuoco
Io credo in te sola all’orizzonte dell’uomo
Ti credo a perdifiato
Alla vertigine e allo stordimento
Alla caduta e all’annientamento
Io credo in te come alla vita
Si crede nel momento della morte
Io credo in te senza tenermi ad alcun sostegno
Io credo in te nell’assenza e nel sonno
O  mia magnolia d’insonnia
Io credo in te nel frastuono e nel silenzio
Io credo in te nel dolore
Io credo in te come alla prova dell’esistenza
Come allo strazio dell’addio
Io credo in te più della mia stessa ombra
Io credo in te come l’acqua nera dai riflessi d’oro
Come la polvere al piede nudo
Io credo in te come alla pioggia il deserto
Come la solitudine all’abbraccio
Come all’orecchio crede il grido.



NON ESISTONO AMORI FELICI

Niente per l’uomo è mai definitivo Non la sua forza
non la debolezza né il suo cuore E quando crede
di aprire le braccia la sua ombra è una croce
e quando vuole stringere la sua felicità la sbriciola
uno strano doloroso divorzio è la sua vita
Non esistono amori felici
La sua vita è come quei soldati disarmati
per altro scopo un tempo equipaggiati
a cosa può servire il loro alzarsi di buon ora
per ritrovarsi a sera disoccupati incerti
dite queste parole La mia vita E trattenete il pianto
Non esistono amori felici
Mio bell’amore amore caro mio strazio
ti porto in me come un uccello ferito
e quelli senza saperlo ci guardano passare
ripetendo dietro di me le parole che ho intrecciato
e che per i tuoi grandi occhi subito morirono
Non esistono amori felici
E’ troppo tardi ormai per imparare a vivere
piangano insieme nella notte i nostri cuori
quanta infelicità per la più piccola canzone
quanti rimorsi per scontare un fremito
quanti singhiozzi per un’aria di chitarra
Non esistono amori felici
Non c’è amore che non dia dolore
non c’è amore che non ferisca
non c’è amore che non lasci il segno
e non meno l’amore di patria che l’amore per te
non c’è amore che non viva di pianto
Non esistono amori felici
ma per noi due c’è il nostro amore

***
Scrittore francese (Neuilly-sur-Seine 1897-Parigi 1982). Con Breton e Soupault fondò nel 1919 la rivista Littérature, organo del movimento surrealista. Del surrealismo Aragon fu uno dei massimi esponenti come teorico e poeta con Feu de joie (1920; Falò) e Mouvement perpétuel (1925; Moto perpetuo), poesie in cui l'esercizio della scrittura automatica non annulla le caratteristiche di musicalità e concretezza che ricollegano l'autore alla tradizione lirica francese. Dopo i racconti di Anicet ou le panorama (1922; Anicet o il panorama) e il romanzo Le paysan de Paris (1926; Il contadino di Parigi), Aragon aderì al partito comunista e sposò la scrittrice russa Elsa Triolet. Convertito al realismo dalla fede politica, abbandonò il movimento surrealista, pur senza rinnegare i poteri dell'immaginazione e la libertà formale: si vedano il Traité du style (1928; Trattato dello stile) e le poesie di Persécuteur persécuté (1931; Persecutore perseguitato). I versi di Hourra l'Oural (1934; Urrà gli Urali) segnano una svolta verso il realismo, così come i romanzi della serie Le monde réel (Il mondo reale): Les cloches de Bâle (1933, Le campane di Basilea), Les beaux quartiers (1936; Quartieri alti), Les voyageurs de l'impériale (1942; I viaggiatori dell'imperiale) e Aurélien (1944); e quelli della serie Les communistes (1949-51, Le donne comuniste, 6 vol.). La II guerra mondiale lo vide medico ausiliario e responsabile dei servizi sanitari della Resistenza
Poeta d'amore e poeta militante, scrisse Le crèvecoeur (1941; Il crepacuore), Cantique à Elsa (1942; Cantico a Elsa), Les yeux d'Elsa (1942; Gli occhi d'Elsa), La Diane française (1945; La Diana francese). Nel dopoguerra, diventato ormai il più celebre poeta francese, pubblicò ancora Poésies, Le fou d'Elsa (1965; Il folle d'Elsa), alcuni grandi romanzi come La semaine sainte (1958; La settimana santa), La mise à mort (1965; La condanna a morte), Blanche ou l'oubli (1967; Bianca o l'oblio), forse la sua opera più felice e complessa. Con Maurois fu autore, per la parte sovietica, di una Histoire parallèle U.S.A.-U.R.S.S (1962; Storia parallela U.S.A.-U.R.S.S.).
 Fu direttore del settimanale Les lettres françaises dal 1944 al 1972. L'elezione all'Académie Goncourt nel 1967, le dimissioni nel 1968 e la morte della moglie Elsa (1970) influenzarono l'ulteriore opera di Aragon, che non mancò di sottolineare attraverso questi eventi l'indipendenza della sua collocazione di intellettuale militante. I suoi scritti teorici, letterari e di critica d'arte tendono a ripercorrere le tappe della sua avventura artistica e umana: Je n'ai jamais appris à écrire ou les Incipit (1969; Non ho mai imparato a scrivere o gli Incipit), Henri Matisse (1971), Théâtre/Roman (1974; Teatro/Romanzo). Opere successive: Les Poètes (1976; I poeti), la raccolta di scritti Le mentir-vrai (1980; Il mentire-vero), le poesie Aux bords de Rome (1981; Intorno a Roma) e Les adieux (1981; Gli addii) e i saggi Ecrits sur l'art moderne (1982; Scritti sull'arte moderna).
                                                                                                                                          Tratto da Sapere.it

Thomas Stearns Eliot



Conversation galante
lo osservo: «La nostra sentimentale amica luna!
O forse (fantastico, confesso)
potrebbe essere il pallone del Prete Gianni
o una vecchia lanterna malconcia appesa in cielo
per guidare i poveri viandanti alle loro tribolazioni».
E lei: «Quante digressioni!».
lo allora: «Qualcuno tenta sui tasti
quel notturno squisito, con cui spieghiamo
la notte e il chiar di luna; musica che usiamo
per dar corpo alla nostra vacuità».
E lei: «Vi riferite a me?».
«Oh no, sono io ad esser fatuo.»
«Voi, signora, siete l'umorista eterna,
l'eterna nemica dell'assoluto,
indirizzando appena i nostri sentimenti vaganti!
Col vostro fare indifferente e imperioso
per confutare in un colpo le nostre poetiche strambe...»
Al che: «Siamo dunque tanto seriosi?»