giovedì 11 settembre 2014

David Herbert Richards Lawrence


Notte di dicembre

Togliti la mantella, il cappello
e le scarpe, e fermati al mio focolare
dove nessuna donna si è mai seduta.
Ho acceso il fuoco più vivido; lasciamo
tutto il resto nel buio, e sediamo
accanto alla luce della fiamma.
Il vino è caldo sul focolare;
riflessi vanno e vengono.
Riscalderò con i baci le tua membra 
finché risplendano.


mercoledì 10 settembre 2014

Georges Bataille.



Poeta, saggista e romanziere francese (Billom, Puy-de-Dôme, 1897-Orléans 1962). Attratto dal movimento surrealista (anche se a esso non volle mai aderire), cercò, attraverso i postulati erotici, magici e metafisici, di esprimere letterariamente la sua natura di “mistico senza Dio”. Giunto alla conclusione che l'unica realtà consiste nella propria esistenza, si impegnò alla ricerca di una comunicazione tra gli uomini per la “conquista stessa dell'uomo”. Nei suoi scritti si avverte in particolare l'influsso di Nietzsche, Heidegger e Kierkegaard
Attratto dal cattolicesimo per un breve periodo, collaborò alla rivista La critique sociale (1931-34) e animò con A. Breton il gruppo antifascista Contre-Attaque (1935-36). Fu tra i fondatori del Collège de sociologie (1937-39); diresse le riviste Documents (1929-30), Acéphale (1936-37) eCritique, da lui creata (1946-62); scrisse saggi, poesie e romanzi erotici. Il suo pensiero, dominato dalla ricerca degli stati estremi in cui dolore e gioia, misticismo ed erotismo coincidono, trova espressione nei tre volumi che pubblica fra il 1943 e il 1945: L’expérience intérieure (1943; trad. it. L’esperienza interiore); Le coupable(1944; trad. it. Il colpevole) e Sur Nietzsche (1945). L’esperienza mistica evocata nello scritto sull’interiorità (che valse a B. le critiche di Sartre) si caratterizza come confronto fra estasi e dissolutezza (débauche) e trova un punto di approdo in Nietzsche, interpretato come il filosofo non della volontà di potenza, ma della «volontà di chance», ossia del tentativo di esistere nell’immanenza degli istanti, senza considerare l’azione in rapporto alla razionalità e sapendo, anzi, ridere dei fini materiali e morali. Negli scritti successivi la riflessione si amplia a temi antropologici, etnografici, economici e sociologici. In La part maudite (1949; trad. it.La parte maledetta), B. analizza un’economia generale che ha come fine non il consumo (consommation), ma il consumarsi (consumation). In L’érotisme (1957; trad. it. L’erotismo) gli eccessi dell’erotismo, che pur trasgredendo divieti relativi alla carne, diventano accostabili al «sacrificio», evidenziano l’ambivalenza dei sentimenti umani relativi al sacro e il coincidere, nel silenzio, fra il vertice dell’erotismo e quello della contemplazione dell’essere (raggiunto mediante la «trasgressione della filosofia»). Importanti anche gli scritti su La souveraineté(post., 1976; trad. it. La sovranità) e le lezioni del 1951-52 sul non sapere (Conférences sur le non-savoir), pubblicate nel 1962.





L'Arcangelico,  III

Un lungo piede nudo sulla mia bocca
Un lungo piede contro il cuore
sei la mia sete sei la mia febbre

piede di whisky
piede di vino
piede smanioso di schiacciare

oh scudiscio mio dolore mio
tallone altissimo che mi schiaccia
rimpiango di non essere morto

ho sete
implacabile sete
deserto senza via d'uscita

improvvisa bufera di morte dove grido
cieco in ginocchio
con le orbite vuote

corridoio dove rido di una notte insensata
corridoio dove rido dello sbatter di porte
dove adoro un fulmine

scoppio in singhiozzi
lo squillo di tromba della morte
mugghia nel mio orecchio

martedì 9 settembre 2014

Cesare Pavese


Hai un sangue, un respiro

Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano ‒
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano ‒
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte ‒
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.

Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.

Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell'aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.


La terra e la morte

Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t'ingombrano e vanno nel vento
Membra e parole antiche.

Tu tremi nell'estate


Luna piena: fate largo ai sognatori!



SULLA LUNA 
Gianni Rodari

Sulla Luna, per piacere, 
non mandate un generale: 
ne farebbe una caserma 
con la tromba e il caporale. 
Non mandateci un banchiere 
sul satellite d’argento, 
o lo mette in cassaforte 
per mostrarlo a pagamento. 
Non mandateci un ministro 
col suo seguito di uscieri: 
empirebbe di scartoffie 
i lunatici crateri. 
Ha da essere un poeta 
sulla Luna ad allunare: 
con la testa nella Luna 
lui da un pezzo ci sa stare… 
A sognar i più bei sogni
è da un pezzo abituato: 
sa sperare l’impossibile 
anche quando è disperato. 
Or che i sogni e le speranze 
si fan veri come fiori, 
sulla Luna e sulla Terra 
fate largo ai sognatori!

domenica 7 settembre 2014

Giuseppe Gioacchino Belli




La Bocca della Verità -

“In d’una cchiesa sopra a ‘na piazzetta 
Un po’ ppiù ssù de Piazza Montanara 
Pe’ la strada che pporta a la Salara, 
C’è in nell’entrà una cosa bbenedetta.  
Pe’ tutta Roma quant’è llarga e stretta 
Nun poterai trovà ccosa ppiù rara.
E’ una faccia de’ pietra che tt’impara 
Chi ha detta la bucìa, chi nu’ l’ha detta. 
S’io mo a sta faccia, c’ha la bbocca uperta, 
Je ce metto una mano, e nu’ la strigne 
La verità da me ttiella pe’ certa.
Ma ssi ficca la mano uno in bucìa, 
Essi sicuro che a ttirà né a spigne 
Quella mano che llì nun vié ppiù via.”

Sonetto, scritto nel 1832  il 2 dicembre -

sabato 6 settembre 2014

Dario Bellezza



                                                                          Fuori di me

Alla follia, non badate, datemi retta!
Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui
immergere la vostra vita perduta dietro
l'apparenza delle cose. Cercate l'immortalità,
l'eterna questione del mare splendente
dentro il sole di giugno che diventa nero
a notte e scompare nelle tenebre. 
Io dimenticato relitto di una civiltà
passata sono il solo che piango i defunti
miraggi di un'età morta e ancora
coprendomi di ridicolo scrivo lettere
d'amore a traditi amori di un'epoca trascorsa,
la giovinezza, e ricordo lo studente
che piegava la sua retta immagine
a misurare l'angolo della sua carnale diversità,
a versare nel seno asciutto di una madre
occasionale la solitudine futura dei suoi
giorni tutti uguali. Lasciatevi andare
verso il mare della vita! Assaporatene
la musica sbiadita, e trionfatore sarà
solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!
Mentre io ancora scriverò che il poeta
chiude in stremate parole il suo cervello
mirando il muro in alto della sua stanza
e le poesie scivoleranno via, senza pietà,
e nessun Dio le registra, incarnandosi per un attimo.
Il ritmo non sa di mirtillo acerbo
e piegarsi sulla bianca pagina di un diario
il meglio dell'ispirazione fa in un fiato dileguare.
Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone
di un deserto da percorrere in una torrida
estate, senza acqua raccolta nella gobba
di un domestico dromedario, e la mia poesia
definitela con crudeltà e livore come lubrica,
oscena, interessata e manigolda consigliera
di sventura o furto di anime giovanili
in cerca di nuove reincarnazioni.
Sappiate però che brucio di gioia, di allegria
feroce dentro la mia casa buia, prigioniero
di calamitose idee, slabbrando la mia merda
in privata visione senza lo scempio
di immagini e talenti altrui. Sono un genio
geniale che la vita spassa da un dolore all'altro,
teatrale, senza ferite apparenti che non siano
d'amore, piaghe purulente lasciate da una donna
fatale che nessuno conosce. 
Slabbro la mia merda in privata visione: 
ghirigori collettivi e birbanti. 
Muratemi in una galera con la bibbia e i santi.