mercoledì 28 gennaio 2015

Giovani Poeti

Non credete soltanto a ciò che vedete.
È più profondo
lo sguardo dei poeti.
Per loro la Natura
è un giardino di casa.

Costantino Kavafis


Risponde alle nostre 8 domande
Eva Brit Bosi

martedì 27 gennaio 2015

Il giorno delle MEMORIE


                                               

I giorni delle memorie

Il genocidio dei rom e degli omosessuali
Il giorno della memoria è un giorno importante, ma la memoria non può essere solo un giorno e non può essere ricondotta ad un solo episodio ed un solo popolo. Durante il periodo nazista non solo gli ebrei sono stati  il bersaglio della soluzione finale. La memoria e il ricordo dovrebbe andare anche ai Circa 500.000 Rom e Sinti trucidati dai nazisti. Il loro è un “genocidio dimenticato”, rimosso dalla memoria collettiva per i secolari pregiudizi che la società europea ha avuto verso di loro. I provvedimenti adottati dal regime nazista verso i Rom e i Sinti sono supportati da studi pseudoscientifici. Il principale protagonista di queste pseudo ricerche è lo psicologo-psichiatra Robert Ritter, che nel 1932 inizia a studiare le cosiddette “stirpi vaganti”,di cui fanno parte i Rom ed i Sinti. Ritter, con l’aiuto della sua assistente Eva Justin, ribadisce  la loro pericolosità, affermando che, pur essendo di origine ariana, sono tarati da un gene molto pericoloso: l’istinto al nomadismo (Wandertrieb). Pertanto la loro presenza nel Reich non può essere tollerata perché rappresentano un fattore di “contaminazione razziale”, che inquina la “purezza” della razza ariana tedesca. nel 1940, per evitare l’ulteriore proliferazione di questa “minoranza degenerata, asociale e criminale”, propone la sterilizzazione (Zukunftslos) di tutti gli individui, uomini e donne. In questo modo, la “questione zingara” e non è più un “problema di ordine pubblico”, per la prevenzione della criminalità, considerata la naturale tendenza a delinquere dei Rom, ma diventa una “questione di razza”, come per gli ebrei.  Ritter, fino al novembre 1944, studia oltre 30.000 Rom e Sinti, facendo perizie e redigendo schede individuali, sulla maggior parte delle quali annota la parola “evak”, che significa che la persona deve essere “evacuata”, cioè deportata in un Lager per la “soluzione finale”. Così come quello degli omosessuali, per i quali i nazisti avevano inventato il triangolo rosa come segno distintivo. Riguardo alla  loro persecuzione, si parla di un numero che oscilla da 50.000 a 250.000, ma questo ha poca importanza perché non è il numero delle vittime che rende più odioso il crimine.

Olocausto dimenticato
Silenzio, desolazione, oscura notte
il cielo è cupo, pesante di silenzio!
Aleggia nell’aria la nenia della morte!
Da queste pietre, grigie pietre,
da ogni rovina, dalle cornici infrante,
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s’impiglia nel filo spinato
E la mia anima s’aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa nemica!
Chi sono? Nessuno! Tu chi sei?
Nessuno!
Voi Sinti chi siete? Nessuno! solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
prigioniera della più grande infamia
della storia dell’uomo!
Paula Schöpf



Genocidio armeno
Nel novembre 1914 Russia, Francia, Inghilterra e altri paesi dell'Intesa dichiararono guerra alla Turchia, che si era alleata alla Germania. Francia e Inghilterra presero a bombardare le fortezze turche sui Dardanelli; i russi entrarono nella regione armena della Turchia orientale. Temendo che gli armeni potessero diventare un pericoloso nemico interno, alleato delle potenze dell'Intesa, già nel primo anno della guerra l'esercito regolare turco, insieme a bande armate curde, prese a sterminarli in maniera sistematica. Nel 1918 di 1.800.000 persone che contava la comunità armena all’inizio della prima guerra mondiale, solo 600.000 riuscirono a salvarsi. In pratica i 2/3 della popolazione armena residente nell'impero ottomano è stata soppressa, e regioni per millenni abitate da armeni non vedranno più in futuro nemmeno uno di essi. Circa 100.000 bambini vennero prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati, smarrendo così la propria fede e la propria lingua.

Il giogo
I miei buoi sono biondi, hanno le fronti di luce
che ho adornato con un amuleto blu.
Sono ebbri dell’aria primaverile del mattino -
guardano pacifici la campagna tranquilla.

Durante l’inverno li ho nutriti di fieno -
sembrano i grassi idoli del tempio.
La loro coda pelosa e pettinata
scivola sui fianchi come un serpente.

Amo il loro dorso dalle mille pieghe,
le loro narici umide, le grandi pupille
dove si riconosce il sogno immutabile della campagna.

Amo di loro i corpi dondolanti, e il possente muggito
dagli orizzonti - quando avanzano senza fermarsi
con le corna immerse nell’Alba.
Daniel Varujan

Genocidio indiani d’America
Un genocidio più antico, taciuto, dimenticato, è quello degli indiani d’America un grande popolo guerriero e cacciatore che fu sistematicamente sterminato da chi aveva invaso le sue terre. Le fonti più attendibili attestano che prima dell’arrivo degli europei circa 8 milioni di indiani occupavano l’America del Nord. Nel 1692, non restavano già più di 4 milioni e mezzo d’indigeni. Oggi gli indiani sopravvissuti sono meno di 50mila. E' genocidio mostruoso costellato di continue stragi e massacri di villaggi, operato con una pianificazione scientifica: affamare gli indiani, facendo tabula rasa delle mandrie di bisonti, e spingerli nelle zone più invivibili per farli morire di stenti e malattie continuando, al tempo stesso, ad attaccarli. Inizia così l’epoca delle riserve. Migliaia di indiani, poi, vengono spostati da una riserva all’altra, apparentemente senza motivo: marce forzate su tragitti lunghissimi, in realtà studiate apposta per decimare la popolazione. Nelle riserve, veniva attuata la soluzione finale: impossibilitati a procurarsi il cibo con la caccia, come loro costume, gli indiani sono costretti a nutrirsi con alimenti avariati che non possono più essere venduti sul mercato dei coloni. La funzione della camere a gas, qui, viene svolta dalle coperte: agli indiani vengono fornite coperture infettate coi microbi del vaiolo e della tubercolosi e queste malattie, nel giro di pochi anni, completano lo sterminio. Il generale Amherst quando scattò il piano per diffondere il vaiolo ebbe modo di dichiarare “Non un nemico combattiamo, ma la razza più vile che abbia mai contaminato la Terra, la cui eliminazione va considerata come un atto di liberazione a vantaggio dell’umanità”.

Non conosco alcuna specie di pianta, uccello o animale
che non si sia estinta dopo l'arrivo dell'uomo bianco.
L'uomo bianco considera la vita naturale degli animali
come quella del nativo su questo continente: come un fastidio.
Non c'è alcun termine nella nostra lingua con il significato di "fastidio".
Orso in piedi,  (sioux)

Per voi uomini bianchi il Paradiso è in cielo;
per noi, il Paradiso è la Terra.
Quando ci avete rubato la Terra, ci avete rubato il Paradiso.
Orso in piedi,  (sioux)
                                                                                                                    Ermanno Crescenzi

domenica 25 gennaio 2015

Emily Dickinson

LA MIA LETTERA AL MONDO

Sono piccina come lo Scricciolo, i capelli li ho di colore deciso, come la lappa castana, e gli occhi, come lo sherry avanzato nel fondo del bicchiere degli Ospiti.
Mi chiede quanti anni ho? Non ho mai scritto poesie, tranne una o due, prima di quest'inverno, Signore. Mi è presa una paura terribile, da settembre a questa parte: non potevo parlare con nessuno, così canto, come il Ragazzino quando passa vicino al Cimitero, perché ho paura.
Mi chiede dei libri che amo. I miei poeti sono: Keats e i Browning. I miei prosatori: Ruskin, Sir Thomas Browne e l'Apocalisse. Sono andata a scuola, ma nel modo in cui l'intende lei non ho avuto un'istruzione. Da bambina, avevo un amico, che mi ha insegnato l'immortalità, ma essendosi arrischiato ad andarle troppo vicino, lui stesso - non ha più fatto ritorno. Subito dopo è morto il mio Maestro e per parecchi anni il Vocabolario è stato il mio unico compagno. Poi ne ho trovato un altro, ma lui non era contento che fossi sua allieva, così ha lasciato il paese. Mi chiede delle mie Compagne: le Colline, Signore, e il Tramonto e un Cane grande come me, che mi ha comperato mio Padre. Sono meglio degli Esseri umani perché sanno, ma non dicono, e il rumore dello Stagno a Mezzogiorno è di gran lunga migliore di quello del mio Piano. Ho un Fratello e una Sorella. A mia Madre non interessa il pensiero. Mio Padre, troppo preoccupato delle difese in tribunale per accorgersi di quello che facciamo, mi compra molti libri, ma mi supplica di non leggerli perché ha paura che mi scuotano la Mente. Sono religiosi - tranne me - e tutte le mattine si rivolgono a un'Eclisse che loro chiamano "Padre".
Signor Higginson, è troppo impegnato per potermi dire se la mia Poesia è viva? La Mente è così vicina a se stessa da non riuscire a vedere, con chiarezza, e io non ho nessuno cui chiedere.
Sorrido quando lei suggerisce che aspetti " a pubblicare" , dal momento che la cosa è così aliena alla mia mente come il Firmamento a una Pinna. Se la fama mi appartenesse non riuscirei a sfuggirle - in caso contrario il giorno più lungo mi sorprenderebbe mentre me ne vado a caccia e l'approvazione del mio Cane mi abbandonerebbe - dunque - preferisco la mia Condizione Scalza.
Per questo motivo, Maestro, io le porterò - Obbedienza - il Bocciolo del mio Giardino e tutta la gratitudine di cui sarò capace. Forse le verrà da sorridere di me. Ma non potrei fermarmi per questo: Il mio Problema è la Circonferenza. Un'ignoranza non d'Abitudini, ma quando l'Alba mi raggiunge - e il Tramonto mi vede - io, l'unico Canguro in tanta bellezza, Signore, se non le dispiace, ne soffro, e ho pensato che i suoi consigli me ne avrebbero liberata.
Quest'inverno sono venuti a casa di mio Padre due redattori di giornali. Volevano sapere cosa Pensassi e quando io ho chiesto loro "Perché", mi hanno detto che ero avara: loro l'avrebbero usato per il Mondo. Non saprei pesarmi, da Sola. Le mie dimensioni mi paiono limitate, a me sembra.
Caro amico, il fiore era Gelsomino. Sono contenta che sia piaciuto alla sua amica. E' trai i fiori più cari a Dafne - a parte i fiori selvatici - quelli le sono più cari. Ho un amico a Dresda che pensa che l'amore per i Campi sia un affetto mal riposto e sostiene che mi spedirà un Prato che è più bello di un Prato d'Estate. Se lo farà, io lo spedirò a lei.
Non ho mai letto nulla di Tourgueneff (sic) , grazie tuttavia per avermene parlato, lo cercherò subito. Avevo sperato che mi facesse vedere qualcosa di suo, una di quelle "poche Poesie" - "quasi nessuna", come le chiama lei. Ne avrebbe voglia adesso? Mi rimproveri se il mio desiderio è stato troppo audace, ma non ho mai desiderato nulla così intensamente.
Mi chiede se ne ho scritte ultimamente?
Non ho altro compagno di giochi.
Le mando una Brezza, un Epitaffio, una Parola a un amico e un Uccello Azzurro, per la signora Higginson. Le perdoni se non sono sincere.
Dal momento che lei ha smesso di essere il mio insegnante, come potrei fare dei miglioramenti?
La sua Allieva
E' questa la mia lettera al mondo
che mai non scrisse a me -
semplici annunzi che dà la natura
con tenera maestà.
Il suo messaggio è consegnato a mani
per me invisibili.
Per amor suo, miei dolci compaesani
benignamente giudicatemi.



venerdì 23 gennaio 2015

Giovanni Raboni

ABBASTANZA POSTO

Passa il tempo, ci sentiamo
più grandiosi ogni giorno: però
siamo sempre la gente che tira su il sopracciglio
o si gratta la punta del naso, continuiamo
a pensare che tipi così (quello
che striscia e non ha palpebre quello che fa
l’amore con le forchette e con la corda) siano,
rispetto a noi, qualcuno – a non capire
che c’è abbastanza posto per ciascuno di loro
in ciascuno di noi.

Da  “A tanto caro sangue”   

***

Mai davvero felice e mai del tutto
infelice – oh, l’ho capito; e mi regolo.
Ma pensare la gioia, almeno quello:
pensarla! e qualche volta , senza farsi
troppe idee, senza montarsi la testa,
annusarla, sfiorarla con le dita
come se fosse (non lo è?) l’avanzo
della vita d’un santo, una reliquia…

Da “Barlumi di storia”


martedì 20 gennaio 2015

Marcos Ana

Ditemi com'è un albero

Ditemi com’è un albero.
Ditemi il canto del fiume
quando si copre di uccelli.
Parlatemi del mare. Parlatemi
del vasto odore della campagna.
Delle stelle.
Dell’aria.
Recitatemi un orizzonte
senza serratura né chiavi
come la capanna di un povero.
Ditemi com’è il bacio
di una donna.
Datemi il nome
dell’amore: non lo ricordo.


Il mio peccato è terribile

Il mio peccato è terribile
volli colmare di stelle
il cuore dell’uomo.
Per questo qui tra le sbarre,
in ventidue inverni
ho perso le mie primavere.
Prigioniero dall’infanzia
e condannato a morte,
i miei occhi stanno prosciugando
la loro luce contro le pietre.
Ma non c’è ombra d’arcangelo
vendicatore nelle mie vene:
Spagna è il solo grido
del mio dolore che sogna.


Sarà che i miei sogni spaventano il tiranno

Sarà che i miei sogni spaventano il tiranno
come un lontano canto,
come sepolte campane,
come tutte le voci che non capisce.
Sarà che i miei sogni,
di uomo e di poeta,
sono coperti dal ferro
che mi rinchiude la vita
e ora sogno spade allegre.
Sarà, mi domando,
che ancora non capiscono
che incarcerarono l'uomo
perché non furono capaci,
dell'assalto vincente
al forte dei suoi sogni
che con più forza lo fa sognare.


lunedì 19 gennaio 2015

EDGAR ALLAN POE

Solo

Fanciullo, io già non ero
come gli altri erano, nè vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni - nè mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Nè il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quello che amai, io l'amai da solo.
Allora - in quell'età - nell'alba
d'una procellosa vita - fu derivato
da ogni più oscuro abisso di bene e male
il mistero che ancora m'avvince -
dai torrenti e dalle sorgenti -
dalla rossa roccia dei monti -
dal sole che d'intorno mi ruotava
nelle sue dorate tinte autunnali -
dal celeste baleno
che daccanto mi guizzava -
dal tuono e dalla tempesta -
e dalla nuvola che forma assumeva
(mentre era azzurro tutto l'altro cielo)
d'un demone alla mia vista -.


domenica 18 gennaio 2015

Rubén Darío

A Domingo Bolívar

Fratello, tu che hai la luce, dimmi la mia.
Sono come un cieco. Vado senza rotta e cammino a tentoni.
Vado sotto tempeste e tormenti,
cieco di sogno e pazzo di armonia.
Questo è il mio male. Sognare. La poesia
è la camicia ferrea dalle mille punte cruente
che porto sopra l’anima. Le spine sanguinanti
lasciano cadere gocce della mia malinconia.
E così vado, cieco e folle, per questo mondo amaro;
a volte mi pare che il cammino sia molto lungo,
a volte che sia molto breve…
E in questa esitazione di respiro e agonia,
carico colmo di pene quel che appena sopporto.
Non odi cader le gocce della mia malinconia?


giovedì 15 gennaio 2015

Al Teatro Secci, poi ... il 16 gennaio a Narni






Si ride e si riflette. Su quella vita che, a qualsiasi età e condizione, riserva sempre delle ‘sorprese’ che rendono necessario ripensare in una chiave diversa a ciò che è stato e a ciò che sarà. Nell’ottica di comprendere e accettare ciò che è nuovo, inaspettato e che solo apparentemente sembra nemico. Nel desiderio di ‘progettare’, per quanto limitati nell’entità o nel tempo possano essere gli obiettivi da prefiggersi e da coltivare con amore e passione. Questo il senso ultimo de ‘Lu Posticinu’, commedia di Giulio Biancifiori, dove i protagonisti effettuano un personalissimo percorso alla ricerca di se stessi e dei loro rapporti con gli altri, a partire dagli affetti più cari, famigliari e amici. Il dialetto, in questo contesto, viene utilizzato come strumento per condurre con maggiore immediatezza nei meandri di un’esistenza che è sempre generosa di speranze e di affetti. E quel ‘posticinu’, leit motiv dell’opera teatrale, è sì un luogo fisico, quello dell’eterno riposo, ma ha anche una pluralità di significati simbolici. Su tutti, quell’angolo dell’anima pronto ad accogliere e farsi accogliere, trovando proprio in questo motivo per rinascere e aprirsi a nuove emozioni.
 Anna Maria Rengo

lunedì 5 gennaio 2015



 Questo blog , come  conosce chi lo frequenta si occupa prevalentemente
 di poesia e per questo nel cercare una sintesi  idonea a rappresentare  il pregevole testo, scritto dal maestro Giulio Biancifiori ,  abbiamo pensato ai versi  di Pessoa


 Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura,
una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.


La poesia d'altro canto è cornice implicita e lucente al testo della commedia, in cui si mescolano tra buoni ritmi e trovate sceniche, risate e riflessioni.
 Tra le pagine portate in scena, la vita scorre tra valori agiti, eventi e rivelazioni inaspettate,
 l'ironia delle battute non offusca il ragionamento, la riflessione, la ricerca del vero e 
il dialetto, apre sentieri che conducono con immediatezza nei meandri
dell'esistenza, che abbisogna sempre di progetti e speranze.     

Vi aspettiamo
 Lo Staff




venerdì 2 gennaio 2015

Blaga Dimitrova

ARS POETICA
Ogni tua poesia
crea come fosse l'ultima.
In questo secolo in volo
supersonico e saturo di stronzio,
carico di terrorismo,
sempre più improvvisa arriva la morte.
Ogni tua parola invia
come l'ultima prima della fucilazione,
un grido impresso nel muro di prigione.
Non hai diritto ad una menzogna,
neanche fosse un piccolo bel gioco.
Semplicemente non avrai il tempo
di correggere da solo il tuo errore.
Laconicamente e senza pietà
ogni tua poesia scrivi col sangue
come fosse un addio.


ERBA
Nessuna paura
che mi calpestino.
Calpestata, l'erba
diventa un sentiero.


DESIDERIO
Mi avvolgano ali, senza racchiudermi.
Il mio spirito aperto, non in me ripiegata.
Non dietro a una spalla, al sicuro protetta,
ma fianco a fianco contro il vento in bufera