lunedì 23 novembre 2015

XI Film Festival Popoli E Religioni - 21 Novembre 2015

All'interno della  undicesima edizione del Film Festival Popoli E Religioni che quest'anno ha affrontato il tema IL PARADISO PERDUTO; Sabato, si è svolto il secondo incontro organizzato dal Comune di Terni sul tema, Terni e IL PARADISO DA RITROVARE.
Al museo diocesano molte associazioni, attraverso varie modalità artistiche, hanno raccontato qual è il paradiso perduto della città, quello che ogni cittadino cerca e auspica di recuperare.
Condividiamo le parole ed una poesia, con le quali abbiamo dato inizio alla nostra performance .




Quale suono meglio traduce quello che immaginiamo appartenga alla calma, alla pace?
Per noi è il suono dolce dell'acqua che scorre, dell'acqua rispettata dall'uomo e per tutti gli uomini.
E la nostra città è figlia dell'acqua: e quando era centro meraviglioso di campi coltivati e quando, attraverso sofferenze inaudite, passò tuttavia ad essere la prima città della grande industria italiana.
Terni ama l'acqua sua madre ed ama la pace.
                                                                           
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L'acqua


In tutto l'universo
non vi è nulla di più morbido e debole dell'acqua.


Ma nulla le è pari
nel suo modo di opporsi a ciò che è duro.
Nulla può modificare l'acqua.
Che la debolezza vinca la forza,
che la morbidezza vinca la durezza
ognuno sulla terra lo sa,


ma nessuno è in grado di fare altrettanto.
(Lao-Tse)

***

                 

mercoledì 11 novembre 2015

Giuseppe Avarna



Vorrei 

Vorrei 

la sabbia del Sahara 

nel fragile vetro 

della mia clessidra 

per il tempo dell’eternità. 





"A Gualtieri Sicaminò (piccolo paese nella zona tirrenica della provincia di Messina) è vissuto un nobile poeta innamorato: il duca Giuseppe Avarna. Il duca ha sempre condotto una vita originale, eccentrica e dedicata alla poesia, ma la vera svolta della sua esistenza è avvenuta nel 1980. Quell’anno, infatti, ha conosciuto una hostess americana (Tava Daetz) circa quarant’anni più giovane di lui. L’amore è stato immediato da entrambe le parti. L’hostess si è trasferita in Sicilia e il duca Avarna ha divorziato dalla sua prima moglie (Magda Persichetti) abbandonando, così, i tre figli avuti durante il matrimonio e perdendo tutti i suoi beni. Ai due innamorati non è stato concesso di risiedere nel grande maniero posseduto dalla famiglia Avarna (affidato alla prima moglie e ai tre figli) ma gli è stato permesso l’alloggio in una piccola chiesa sconsacrata vicina al castello. I due vivevano con poche risorse: una piccola pensione per lui e qualche guadagno sporadico per lei. Le giornate però trascorrevano felicemente: Tava a suonare la chitarra e il duca a comporre poesie. Un idillio che puntualmente si concludeva con una lunga notte d’amore al termine della quale il duca usciva nel cortile che separa la cappella della chiesa dal castello e cominciava a suonare le campane. Un modo per gridare alle stelle la sua gioia, ma anche per fare ingelosire l’ex moglie che continuava a risiedere nel maniero degli Avarna.
Gli anni successivi sono trascorsi tra battaglie legali e servizi giornalistici su questa inusuale storia d’amore. Fino al 21 febbraio del 1999: mentre Tava era fuori dalla Sicilia, all’interno dell’abitazione, una stufa ha causato un incendio che ha provocato la morte del duca Avarna, intento a mettere in salvo le tante poesie che, nel corso degli anni, aveva scritto per la sua compagna."


Amelia: DI LIBRO...IN LIBRO - Incontri con l 'autore.





lunedì 2 novembre 2015

domenica 1 novembre 2015

Aldo Fabrizi

Er medico m'ha detto

Commenda cari, è d’uopo che lo dica
ma l’italiano, escluso il proletario,
pappa tre volte più del necessario,
sottoponendo il cuore a ‘na fatica.

Di fame, creda, non si muore mica,
piuttosto accade tutto l’incontrario,
e chi vol diventare centenario
deve evità perfino la mollica.

Perciò m’ascolti, segua il mio dettame;
io quando siedo a tavola non m’empio
e m’alzo sempre avendo ancora fame!”

Embè quanno che ar medico ce credi,
bisogna daje retta: mò, presempio,
l’urtimo piatto me lo magno in piedi!



La dieta

Doppo che ho rinnegato pasta e pane,
so’ dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure…
me pare un anno e so’ du’ settimane!

Nemmanco dormo più le notti sane,
pe’ damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immaginà le svojature
co’ la lingua de fòra come un cane.

Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da ‘na tavola e ‘na sedia
pensanno che se deve da morì?

Nun è pe’ fa er fanatico romano;
però de fronte a ‘sto campà d’inedia,
mejo morì co’ la forchetta in mano!