giovedì 26 febbraio 2015

LESJA UKRAINKA

CONTRA SPEM SPERO
    
 Via, pensieri, voi, nubi autunnali! 
Ora è la primavera dorata! 
Forse nell’amarezza, nel pianto 
Passeranno gli anni della giovinezza?
     No, voglio ridere attraverso le lacrime, 
Intonare canzoni nel dolore, 
Sperare comunque senza speranze, 
Voglio vivere! Via, pensieri tristi!
     In un triste campo desolato 
Seminerò fiori variopinti, 
Seminerò fiori nel gelo, 
Verserò su di essi lacrime amare.
     E per queste lacrime cocenti si dissolverà 
Quella possente crosta di ghiaccio, 
Forse i fiori cresceranno – e giungerà 
Anche per me l’allegra primavera.
     Trasporterò un pesante masso 
In cima a un’erta montagna sassosa 
E, portando questo tremendo fardello, 
Intonerò un’allegra canzone.
     Nella lunga notte buia, impenetrabile 
Non chiuderò gli occhi per un attimo, 
Cercherò la stella polare, 
La chiara sovrana delle notti buie.
     Sì! Riderò attraverso le lacrime, 
Intonerò canzoni nel dolore, 
Spererò comunque senza speranze, 
Vivrò! Via, pensieri tristi!
2 maggio 1890


sabato 21 febbraio 2015

Samantha Falciatori


Appuntamento da non perdere
la presentazione di questo libro. 
Il 19 marzo alla Biblioteca Comunale di Terni, ore 17.00.
Interverranno l'autrice e il prof. Pierluigi Seri, ex docente di lettere che ebbe l'onore di incontrare Panagoulis a Roma.  




ALEKOS PANAGOULIS, IL DOVERE DELLA LIBERTA'
di Samantha Falciatori

“La poesia è una necessità. E’ un grido, qualcosa che nessuno può fermare, che ci spinge a cercare carta e matita in certi momenti. Non ha importanza, a volte, la forma della poesia, ha importanza se ciò che spunta sulla carta è il sentimento reale, il grido. Spesso è un grido dell’istante, è un dolore che si vuole immortalare, forse perché gli uomini non abbiano a dimenticare.”
Con queste parole Alekos Panagoulis, noto democratico greco conosciuto in Italia per essere stato il compagno di Oriana Fallaci e protagonista di uno dei suoi più famosi romanzi “Un Uomo”, esprime l'essenza stessa del concetto ineffabile di Poesia. Una poesia altissima la sua, perchè frutto ed espressione di quel sentimento che riesce a sublimare tutto, cioè il Dolore. E nel suo caso, il dolore estremo della tortura cui fu sottoposto per anni. Come ha notato Pier Paolo Pasolini, che fu un caro amico di Alekos, “Panagulis è stato trasformato in poeta attraverso la tortura….La grande poesia di Panagulis è quella che si è espressa attraverso la sua azione, o meglio, attraverso il suo corpo”. La stessa Oriana Fallaci lo definì “un poeta, il cui eroismo non era altro che la diretta conseguenza della propria poesia”.
Ma chi fu dunque Alekos Panagoulis?
Poeta, rivoluzionario, visionario, intellettuale, parlamentare: difficile definire questo giovane democratico protagonista della Resistenza contro il regime dei colonnelli in Grecia e simbolo indiscusso della lotta per la libertà. Arrestato per aver tentato di uccidere il dittatore che aveva ridotto la Grecia in catene, sottoposto a torture inumane, condannato a morte, “sepolto” vivo in una cella-tomba per anni, infine graziato, continuò a lottare contro il regime prima e contro la finta neo-democrazia dopo. Caparbio e audace, riuscì recuperare preziosi documenti che smascheravano la collusione tra gli uomini della nuova democrazia e del vecchio regime; morì in un “incidente” automobilistico due giorni prima di presentare i documenti in Parlamento. “Alekos Panagoulis, il dovere della libertà” fa rivivere questo grande personaggio, il cui coraggio e onestà lo resero un eroe già da vivo. Alekos era un uomo onesto e coerente che amava la Libertà e la Democrazia più di qualunque altra cosa al mondo e che si è esposto in prima persona per difenderle, pagando il prezzo più alto che un essere umano possa pagare, sopportando l'insopportabile, fino alla morte. Era un uomo di principi morali profondi e non credeva nella vendetta. Quando testimoniò al processo contro i torturatori dell'EAT-ESA, tenne un atteggiamento molto umano verso i suoi aguzzini, al punto che anche la stampa del tempo non nascose sorpresa. Spiegò che voleva sfuggire alla logica di male che aveva caratterizzato l'era della dittatura greca perchè, diceva, “in tempo di democrazia la giustizia non si fa scavando le tombe”.
Grazie a preziosi testimoni che presenziarono al processo contro Panagoulis, ai documenti declassificati del Dipartimento di Stato americano, alle cronache del tempo, agli scritti dello stesso Panagoulis e alla documentazione raccolta, questo saggio indaga su uno dei periodi più dimenticati e su una delle figure più affascinanti della storia contemporanea, il cui messaggio è ancora di estrema attualità, un esempio per le nuove generazioni e non solo.
Quello che rimane di lui è lo sguardo malinconico di chi sa che la libertà non deve essere mai considerata un diritto scontato e definitivo e, soprattutto, che la democrazia va protetta, non accettata passivamente, né tantomeno data per scontata. E non solo in Grecia.




“DEVI VIVERE”
Se per vivere, o Libertà,
chiedi come cibo la nostra carne
e per bere
vuoi il nostro sangue e le nostre lacrime,
te li daremo
Devi vivere
-Dicembre 1971-







domenica 15 febbraio 2015

Totò (Antonio de Curtis)

Tutto è finito
Si lo so, tutto è finito
non parlar, non dirmi niente
già da un pezzo l'ho capito
che il finale era imminente.
Si lo so, tutto è finito
sei d'un altro innamorata
già da un pezzo l'ho capito
questa scena l'ho aspettata.

La commedia dell'amore
è finita finalmente
hai spezzato questo cuore
non parlar, non dirmi niente.


Cuore
Ho preso questo cuore mesto e afflitto,
e triste l'ho gettato in mezzo al mare:
ma prima sopra col mio sangue ho scritto...
per non amare più, per non amare...


Preghiera del clown
Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono,
ma non importa, io li perdono, un po' perché essi non sanno,
un po' per amor Tuo e un po' perché hanno pagato il biglietto.
Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene,
rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola,
ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura.

C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità,
noi dobbiamo soffrire per divertirla.
Manda, se puoi, qualcuno su questo mondo,
capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri.


Ho bisogno di vederti
Ho bisogno di vederti
tutti i giorni vita mia.
Ho bisogno di sentire
quella dolce melodia
quella musica oppiata
che m'inebria e che mi nuoce
quella musica drogata
che mi piace... la tua voce.


Passione
Sulla mia bocca ancora c'è il sapore
delle tue labbra come un fiore rosso,
l'alito profumato, il tuo calore
di questa febbre che mi hai messo addosso:
mi brucia questa febbre nelle vene
e sol per te questo mio cuore duole,
duole d'amor perché ti vuole bene:
morir d'amor per te, sol questo vuole.
Bella superba come un'orchidea,
creatura concepita in una serra,
nata dal folle amore d'una Dea
con tutti i più bei fiori della terra.
Dal fascino del mare misterioso 
che hai negli occhi come calamita 
vorrei fuggir lontano, ma non oso,
signora ormai tu sei della mia vita.
Come uno schiavo sono incatenato
alle catene della tua malia
e mai vorrei che fosse ahimè
spezzato il dolce incanto della mia follia.




mercoledì 11 febbraio 2015

Else Lasker-Schüler

Solo te
Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.

Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.

Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.

Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.

Stregato
Giace sul mio fondo.

Forse il mio cuore è il mondo,
Batte -

E cerca ancora te -
Come ti devo invocare


Ascolta
Io mi prendo nelle notti
Le rose della tua bocca
Che nessun’altra ci beva.

Quella che ti abbraccia
Mi deruba dei miei brividi
Che intorno al tuo corpo io dipinsi.

Io sono il tuo ciglio di strada.
Quella che ti sfiora
Precipita.

Senti il mio vivere
Dovunque
come orlo lontano?




martedì 10 febbraio 2015

Bertolt Brecht






Il principale drammaturgo tedesco del Novecento che ancora oggi è presente in tutti i teatri della Germania e dell'Europa.




Una persona che, dopo tanto tempo, rivide il Signor K. lo salutò dicendo:
"Lei non è per niente cambiato!" - "Oh" rispose il Signor K. e impallidì.

"Storie del Signor K." di Bertolt Brecht

Bertolt Brecht nasce nel 1898 ad Augsburg (in Baviera) da famiglia benestante (è il figlio, infatti, dell'amministratore delegato di un'importante impresa industriale).
Compie a Monaco le prime esperienze teatrali, esibendosi come autore-attore: il suo esordio è fortemente influenzato dall'Espressionismo. Presto aderisce allo schieramento marxista e sviluppa la teoria del "teatro epico" secondo cui lo spettatore non deve immedesimarsi durante la rappresentazione, ma deve cercare di mantenere una distanza critica, allo scopo di riflettere su quello che vede in scena. Da parte dell'autore, invece, canzoni, elementi parodistici e una sceneggiatura molto ben studiata devono essere utilizzate per creare un effetto di straniamento, un distacco critico.
Negli anni 1937-40 studia l'opera di K. S. A. Stanislavskij, per cercare di capire il motivo per cui il cosiddetto "realismo socialista" apprezzi così tanto un autore che a lui invece pare superficiale, in quanto cerca in maniera sistematica l'immedesimazione del pubblico (psicotecnica), quando invece ad essa era da preferire la tecnica dello straniamento. Brecht anzi rifiutava tenacemente l'immedesimazione totale e diceva agli attori che il rapporto col pubblico dovevano costruirlo molto gradualmente. L'influenza di Stanislavskij nell'Urss staliniana ostacolò non poco l'assimilazione del teatro brechtiano, giudicato troppo intellettuale e formalista. D'altra parte i suoi drammi erano destinati a un pubblico tormentato, pieno di contraddizioni irrisolte, e non certamente a un pubblico che cercasse in scena delle conferme. 
Nella sua visione sociale del teatro gli piaceva mostrare la mutevolezza delle cose, privandole della loro aura mistica e oggettiva: diceva di voler rappresentare anzitutto le condizioni sociali. Secondo lui, il teatro non aveva più un vero contatto col pubblico, e comunque ne aveva molto meno di quello degli stadi sportivi. Infatti si chiedeva come trasferire questo tifo sul palcoscenico. Lui si riteneva un vero fan dello sport. Procedendo in direzione di un teatro sempre più "politicamente impegnato", Brecht arriverà negli anni cinquanta alla formulazione di "teatro dialettico". L'idea era quella di rappresentare soltanto gruppi di persone nei conflitti che esistevano in loro o tra di loro. Insomma Brecht voleva un rapporto diretto, assolutamente inedito, col pubblico, che superasse il vecchio e falso modo di fare drammaturgia; non gli interessava un artista strano, ispirato divinamente, anzi preferiva consultare storici, sociologi e persino scienziati per scrivere i suoi testi: lo si vede molto bene nella Vita di Galileo o ne Il volo di Lindberg.
Brecht è anche autore di numerose poesie che possono considerarsi tra le più toccanti della lirica tedesca del 1900. La sua scrittura poetica è diretta, vuole essere utile, non ci porta in nessun mondo fantastico o enigmatico. Eppure ha un fascino, una bellezza a cui è difficile sottrarsi.








Ecco gli elmi dei vinti


Ecco gli elmi dei vinti, abbandonati
in piedi, di traverso e capovolti.
E il giorno amaro in cui voi siete stati
vinti non è quando ve li hanno tolti,
ma fu quel primo giorno in cui ve li
siete infilati senza altri commenti,
quando vi siete messi sull'attenti
e avete cominciato a dire sì.




La guerra che verrà

Non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.


Breviario tedesco

Quando chi sta in alto parla di pace
La gente comune sa
Che ci sarà la guerra.
Quando chi sta in alto maledice la guerra
Le cartoline precetto sono già compilate.
Quelli che stanno in alto
Si sono riuniti in una stanza
Uomo che sei per la via
Lascia ogni speranza.
I governi
Firmano patti di non aggressione.
Piccolo uomo,
firma il tuo testamento.
Sul muro c’era scritto col gesso:
vogliono la guerra.
Chi l’ha scritto
è già caduto.



domenica 8 febbraio 2015

Oggi l'assegnazione dello STRONCOLINO D'ORO 2015




Un proverbio recita: quando si hanno solo due centesimi, acquista una pagnotta di pane con uno, e un giglio con l’altro.
In una realtà  di crisi economica  però si diffonde sempre il pessimismo e non si ha più né la voglia né la forza di comperare il giglio, per attingere alle energie utili per superare il concetto della fredda realtà con quello di possibilità. 
Cosi oggi sono forse in pochi  tra quelli che anno più di un centesimo, ad acquistare gigli. Cosa fanno  invece quelli che di centesimi ne hanno molti e per i quali dovrebbe essere più semplice badare alla propria e non solo, crescita interiore e culturale; quelli che, per dirla con Leon Battista Alberti,  hanno i mezzi per “ non marcir giacendo, ma per stare facendo”? Cosa fanno  costoro che dal canto loro, ben sanno che dall’incontro dell’interiorità individuale, con il mondo esteriore da  tutti condiviso, potrebbe scaturire quella bellezza che avrebbe ripercussioni sui temi della libertà e della condivisione dei valori?
I più, ( non dico tutti  poiché non sono appassionata di seguirne  le vite) si evince anche dai fatti di cronaca, sono esclusivamente interessati a fare soldi. 
A confermare questo atteggiamento prevalente c’è l’eccezione: chi  fa progetti per la bellezza appunto, come  l'imprenditore del cachemire Brunello Cucinelli ,che presentando il nuovo piano d’impegno sociale, l' ha chiamato appunto “Progetto per la bellezza”.
Il piano che si articolerà ai piedi dell'antico borgo medioevale di Solomeo, prevede la realizzazione di tre parchi:  dell’industria “ per promuovere la dignità del lavoro”, dell’Oratorio Laico “per valorizzare il futuro”, il Parco Agrario per potenziare ” la natura sostenibile e bella, ridando dignità alla campagna”   Il borgo fu già, restaurato nel 1985 per farne quella che  ora è la sede dell' azienda ,con biblioteca, mensa per i dipendenti e scuola d’artigiano. Nel presentare il progetto, il 26 novembre 2014  al Piccolo Teatro di Milano, Cucinelli oltre a precisare che lo stesso, viene finanziato dalla Fondazione di famiglia  e non peserà in alcun modo sull’azienda quotata in borsa, cita San Paolo: " dobbiamo saper unire il profitto al dono per vivere felici e sereni. Mio padre è stato felice di questa scelta e mi ha detto 'Bravo, non vorrai mica essere il più ricco del cimitero!".
Alla domanda se pensa che il suo esempio sarà seguito da altri imprenditori risponde. «Non è un problema d’impresa o politico, ma dell’essere umano”, e a mio  avviso, ha ragione. 
Per quanto detto e perché, sono una persona tra le tante, che si nutre anche di speranze, ho apprezzato;
-  prima l’idea in quanto tale, del Comune di Stroncone  di istituire  questo riconoscimento,  “LO STRONCOLINO D’ORO”,  rappresentato da una medaglia con il sigillo comunale, da donare  ad un personaggio di rilievo nazionale, distintosi particolarmente in qualsiasi campo: arte, imprenditoria, scienza, sport ed altro,.
- poi, l’assegnazione  dello stesso  per il 2015, all’ imprenditore umbro Brunello Cucinelli. 
Nella speranza quindi, che l'eccezione diventi regola o almeno una buona prassi,
 AUGURO che LA BELLEZZA DIA I SUOI FRUTTI” 

                                                                                                                                       A.C.

giovedì 5 febbraio 2015

Selma Meerbaum-Eisinger



Colori
È così azzurro sulla neve candida,
gli abeti verdi sono così neri,
che il capriolo, sgusciato di soppiatto,
è grigio come la pena senza fine,
che pure scacceresti volentieri.
Scricchiano passi, musica di neve,
e i venti rimandano polvere di fiocchi
sugli alberi velati di bianco.
Panchine come sogni.
Luci calanti vanno con le ombre
in girotondi infiniti.
Remote lanterne brillano d’un chiarore
attutito, preso allo sfavillìo della neve.
(18.12.1939)


Ninna nanna per me
Mi cullo e continuo a cullarmi
coi sogni al mattino e alla sera
e bevo lo stesso vino drogato
di chi dorme quando è ben sveglio.
Io canto, mi canto una canzone,
canzone di gioia e speranza,
la canto come chi va ma non vede
che non potrà più ritornare.
Io dico e mi dico e ridico una voce,
diceria d’una storia d’amore,
la dico a me stessa e più non le credo,
perché so: non avrà lieto fine.
Io suono, mi suono e risuono il motivo
dei giorni che sono passati,
e mi sbarazzo della verità
e fingo di essere cieca.
Io rido e rido ancora e me la rido
di questo mio giocare.
     E invento intricate trame di sogni
che non hanno meta.
 Gennaio 1941


Canzone della nostalgia
Pian piano tocchi un tono del tuo canto –
ed è come se mancasse qualcosa.
E confusa cerchi in tutti i toni
la risposta che ti possono dare,
dove trovarlo, dove, come e quando…
Ma uno è troppo scialbo
e troppo voglioso l’altro
e il terzo è così pieno e vasto –
troppo pieno.
A lungo li cerchi – minore, maggiore e minore
si animano sotto le tue mani.
E all’improvviso tocchi un tasto
e nessun suono viene.
E il silenzio è in te come un cupo scherno,
perché all’improvviso sai per certo
che questo ti manca. Se le tue mani lo trovassero,
il tuo canto sarebbe libero
e la fine non sarebbe più vuota e grigia.
E tu batti e batti il tasto –
ti chiedi perché non risponde,
vorresti che vincesse la morbidezza delle tue mani,
pieni di desiderio mendicano i tuoi occhi.
Nessun suono viene. La solitudine rimane
nella canzone, che, pesante e dolce, è maturata dentro di te.
Per sempre ti tormenterà quel tono mai suonato,
la felicità che ti ha appena sfiorata
nelle notti silenziose quando la luna ti culla
e il silenzio non comprende le tue lacrime.
(9.1. 1941)


Sono la pioggia
Sono la pioggia e vado
scalza di terra in terra.
Il vento gioca tra i miei capelli
con la sua snella mano bruna.
La mia sottile veste di ragnatela
è più grigia del grigio dolore.
Sono sola. Soltanto qui e là
gioco con un cerbiatto malato.
Nei fili che tengo in mano
sono infilate
tutte le lacrime che mai
pallida bocca di fanciulla pianse.
Le ho tutte rubate nel cuore della notte
a snelle fanciulle,
quando, mano nella mano col desiderio,
attendevano ansiose sul lungo sentiero.
Sono la pioggia e vado
scalza di terra in terra.
Il vento gioca tra i miei capelli
con la sua snella mano bruna.
(8.3.1941)


Autunno
La pioggia tesse
Un grigio canto
        Di nostalgia e
        Di strazio.
Orba di sogni
Stanca di solitudine
        Sono un cane
        E – me ne vado.
L’oro è sbiadito
E morto
        Il sogno d’amore
        Mi guarda e tace.
E mi avvolge
L’iridescente schiuma –
        La nostalgia trascina
        E – canta.
Ecco l’autunno
Che mi guarda
        Con occhi spenti
        E piange.
Io so, lui ha visto:
La felicità passò,
        Mi mise in ginocchio
        E – se ne andò.
(30.6.1941)

Selma Meerbaum-Eisinger era una diciassettenne di Czernowitz, un paesino della Bucovina, regione confinante tra l'Ucraina e la Moldavia che, dal dominio dell'Impero Austroungarico, passò al governo rumeno per poi subire l'occupazione sovietica e infine quella nazista. Cugina del poeta e scrittore Paul Celan, Selma stessa fu poetessa precoce e giovane di rara sensibilità. Ragazza vivace, allegra e sorridente, fu perseguitata e deportata, insieme ai suoi genitori e ad altri circa cinquemila ebrei, nel campo di lavoro nazista di Michajlovka, nelle steppe desolate dell'Ucraina, dove, non ancora ventenne, morì di stenti e di tifo nel 1942.

mercoledì 4 febbraio 2015

... ancora Prévert

Il sole splende per tutti

Il sole splende per tutti
ma non splende nelle prigioni
non splende per quelli che lavorano in miniera
quelli che mangiano carne cattiva
quelli che soffiano le bottiglie vuote che altri
 berranno piene 
quelli che passano le vacanze nelle officine 
quelli che mungono le vacche e non bevono il
latte
quelli che dal dentista non vengono addormentati 
quelli che hanno il pane quotidiano settimanale 
quelli che l'inverno si scaldano nelle chiese 
quelli che il sagrestano sbatte a scaldarsi fuori
quelli che vorrebbero mangiare per vivere
quelli che viaggiano sotto le ruote 
quelli che vengono assunti. licenziati, aumentati.
diminuiti, manipolati, frugati. accoppati
quelli che non hanno mai visto il mare
quelli che puzzano di lino perché lavorano il lino
quelli che non hanno l'acqua corrente
quelli che spalano la neve per un salario irrisorio
quelli che invecchiano prima degli altri.


Lo sforzo umano

Lo sforzo umano
non è quel bel giovane sorridente
ritto sulla sua gamba di gesso
o di pietra
e che mostra grazie ai puerili artifici dello scultore
la stupida illusione
della gioia della danza e del giubilo
evocante con l'altra gamba in aria
la dolcezza del ritorno a casa
No
Lo sforzo umano non porta un fanciullo sulla spalla destra
un altro sulla testa
e un terzo sulla spalla sinistra
con gli attrezzi a tracolla
e la giovane moglie felice aggrappata al suo braccio
Lo sforzo umano porta un cinto erniario
e le cicatrici delle lotte
intraprese dalla classe operaia
contro un mondo assurdo e senza leggi
Lo sforzo umano non possiede una vera casa
esso ha l'odore del proprio lavoro
ed è intaccato ai polmoni
il suo salario è magro
e così i suoi figli
lavora come un negro
e il negro lavora come lui
Lo sforzo umano no ha il savoir-vivre
Lo sforzo umano non ha l'età della ragione
lo sforzo umano ha l'età delle caserme
l'età dei bagni penali e delle prigioni
l'età delle chiese e delle officine
l'età dei cannoni
e lui che ha piantato dappertutto i vigneti
e accordato tutti i violini
si nutre di cattivi sogni
si ubriaca con il cattivo vino della rassegnazione
e come un grande scoiattolo ebbro
vorticosamente gira senza posa
in un universo ostile
polveroso e dal soffitto basso
e forgia senza fermarsi la catena
la terrificante catena in cui tutto s'incatena
la miseria il profitto il lavoro la carneficina
la tristezza la sventura l'insonnia la noia
la terrificante catena d'oro
di carbone di ferro e d'acciaio
di scoria e polvere di ferro
passata intorno al collo
di un mondo abbandonato
la miserabile catena
sulla quale vengono ad aggrapparsi
i ciondoli divini
le reliquie sacre
le croci al merito le croci uncinate
le scimmiette portafortuna
le medaglie dei vecchi servitori
i ninnoli della sfortuna
e il gran pezzo da museo
il gran ritratto equestre
il gran ritratto in piedi
il gran ritratto di faccia di profilo su un sol piede
il gran ritratto dorato
il gran ritratto del grande indovino
il gran ritratto del grande imperatore
il gran ritratto del grande pensatore
del gran camaleonte
del grande moralizzatore
del dignitoso e triste buffone
la testa del grande scocciatore
la testa dell'aggressivo pacificatore
la testa da sbirro del grande liberatore
la testa di Adolf Hitler
la testa del signor Thiers
la testa del dittatore
la testa del fucilatore
di non importa qual paese
di non importa qual colore
la testa odiosa
la testa disgraziata
la faccia da schiaffi
la faccia da massacrare

la faccia della paura.

Jacques Prévert

 Siate cortesi

Bisogna essere molto cortesi
con la Terra
e con il Sole
Bisogna ringraziarli la mattina
Bisogna ringraziarli
per il calore
per gli alberi
per i frutti
per tutto ciò che è buono da mangiare
per tutto ciò che è buono da vedere
da toccare.
Bisogna ringraziarli


Alberi 

In gergo 
la gente chiama foglie
orecchie
come se avvertisse che
conoscono la musica.
Ma la lingua verde degli alberi
è un ben più antico gergo.
Chi può sapere ciò che essi dicono
quando parlano agli uomini.
Gli alberi parlano albero
come i fanciulli parlano fanciullo.
Quando un figlio
di donna e d'uomo
rivolge la parola ad un albero
l'albero  risponde
il fanciullo capisce

martedì 3 febbraio 2015

Simone Weil


A UN GIORNO
Dal filo di ogni esile
erba il silenzio salga.
E poi si unisca ai
deserti illuminati.
Anche il cuore ne trema:
se l’improvviso aspetto
atteso del mattino
eliminerà l’ombra!



LAMPO
Il cielo puro imprima sulla faccia,
il cielo dove nubi lunghe corrono,
un vento con l’odore della gioia,
e forte: e tutto nasca, senza sogno.
Nasceranno per me le città umane
che un soffio puro libera da brume;
e i tetti; i passi; i gridi, e ogni lume
e suono umano: ogni preda del tempo.
Nasceranno i mari e la barca bilanciata;
il colpo di remo e i fuochi di notte;
i campi, e il mannello che si lancia;
le sere e la sequenza delle stelle;
la luce accesa e la genuflessione
del corpo, e l’ombra, l’urto nelle viscere
della miniera; mani che lavorano
i metalli tranciati; il ferro morso
in un grido di macchine.
Il mondo è nato: e tu, vento, mantienilo.
Ma il mondo crolla, coperto da fumi.
Mi era nato il mondo in uno squarcio
di cielo verde e chiaro, tra le nubi.



GLI ASTRI
Astri di fuoco che occupate i cieli
lontani, astri muti e freddi, che girate
senza vedere, ci spogliate il cuore
dal tempo vecchio: ci date al futuro
senza che lo vogliamo. Un nostro pianto
o grido è poca cosa. Se si deve,
vi seguiremo, le braccia legate,
gli occhi volti al vostro puro lampo,
ma amaro. Noi tacciamo, e sul cammino
si oscilla, ma di colpo la vostra gloria è in cuore.

domenica 1 febbraio 2015

Hugo von Hofmannsthal


Ballata della vita esteriore 

E crescono bambini dai profondi occhi
che nulla sanno, crescono e muoiono,
e tutti gli uomini percorrono la loro via.

E dolci divengono i frutti acerbi
e di notte cadono a terra come morti uccelli
e per poco vi giacciono prima di marcire. 

E sempre soffia il vento, e sempre di nuovo
ascoltiamo e diciamo tante parole,
e proviamo gioia e torpore nelle membra. 

E strade corrono attraverso i campi, e luoghi 
vi sono, qui e là, pieni di luci, d’alberi, di stagni,
ora minacciosi, ora spettralmente aridi...


Perché esistono? e mai uguali gli uni
agli altri? e sono di numero infinito?
Che cosa alterna il riso, il pianto, il pallore?

A che ci giova tutto questo e questi giochi?
A noi che siamo adulti ed eternamente soli
e, pur vagando, cerchiamo ancora una meta. 

Che giova aver visto così tante cose?
Eppure dice molto chi dice “sera”,
parola che un senso profondo e dolore stilla

come greve miele dal cavo d’un alveare.





III
Uomini e sogni siamo d’una fibra
E in noi sgranano i sogni le pupille
Come bambini all’ombra dei ciliegi,
E alza la luna sulle cime il corso
D’oro pallido per la vasta notte.
... Affiorano così dal fondo i sogni
E come un bimbo vivono che ride,
Avanti a noi, grandi nell’onda alterna
Come la luna desta dalle cime.
Penetrano le vene più profonde;
Come mani di spettri in una stanza
Hanno dimora e vita in noi perenne.
Ed una cosa è l’uomo, l’astro e il sogno.