Colori
È così azzurro sulla neve candida,
gli abeti verdi sono così neri,
che il capriolo, sgusciato di soppiatto,
è grigio come la pena senza fine,
che pure scacceresti volentieri.
Scricchiano passi, musica di neve,
e i venti rimandano polvere di fiocchi
sugli alberi velati di bianco.
Panchine come sogni.
Luci calanti vanno con le ombre
in girotondi infiniti.
Remote lanterne brillano d’un chiarore
attutito, preso allo sfavillìo della neve.
(18.12.1939)
Ninna nanna per me
Mi cullo e continuo a cullarmi
coi sogni al mattino e alla sera
e bevo lo stesso vino drogato
di chi dorme quando è ben sveglio.
Io canto, mi canto una canzone,
canzone di gioia e speranza,
la canto come chi va ma non vede
che non potrà più ritornare.
Io dico e mi dico e ridico una voce,
diceria d’una storia d’amore,
la dico a me stessa e più non le credo,
perché so: non avrà lieto fine.
Io suono, mi suono e risuono il motivo
dei giorni che sono passati,
e mi sbarazzo della verità
e fingo di essere cieca.
Io rido e rido ancora e me la rido
di questo mio giocare.
E invento intricate trame di sogni
che non hanno meta.
Gennaio 1941
Canzone della nostalgia
Pian piano tocchi un tono del tuo canto –
ed è come se mancasse qualcosa.
E confusa cerchi in tutti i toni
la risposta che ti possono dare,
dove trovarlo, dove, come e quando…
Ma uno è troppo scialbo
e troppo voglioso l’altro
e il terzo è così pieno e vasto –
troppo pieno.
A lungo li cerchi – minore, maggiore e minore
si animano sotto le tue mani.
E all’improvviso tocchi un tasto
e nessun suono viene.
E il silenzio è in te come un cupo scherno,
perché all’improvviso sai per certo
che questo ti manca. Se le tue mani lo trovassero,
il tuo canto sarebbe libero
e la fine non sarebbe più vuota e grigia.
E tu batti e batti il tasto –
ti chiedi perché non risponde,
vorresti che vincesse la morbidezza delle tue mani,
pieni di desiderio mendicano i tuoi occhi.
Nessun suono viene. La solitudine rimane
nella canzone, che, pesante e dolce, è maturata dentro di te.
Per sempre ti tormenterà quel tono mai suonato,
la felicità che ti ha appena sfiorata
nelle notti silenziose quando la luna ti culla
e il silenzio non comprende le tue lacrime.
(9.1. 1941)
Sono la pioggia
Sono la pioggia e vado
scalza di terra in terra.
Il vento gioca tra i miei capelli
con la sua snella mano bruna.
La mia sottile veste di ragnatela
è più grigia del grigio dolore.
Sono sola. Soltanto qui e là
gioco con un cerbiatto malato.
Nei fili che tengo in mano
sono infilate
tutte le lacrime che mai
pallida bocca di fanciulla pianse.
Le ho tutte rubate nel cuore della notte
a snelle fanciulle,
quando, mano nella mano col desiderio,
attendevano ansiose sul lungo sentiero.
Sono la pioggia e vado
scalza di terra in terra.
Il vento gioca tra i miei capelli
con la sua snella mano bruna.
(8.3.1941)
Autunno
La pioggia tesse
Un grigio canto
Di nostalgia e
Di strazio.
Orba di sogni
Stanca di solitudine
Sono un cane
E – me ne vado.
L’oro è sbiadito
E morto
Il sogno d’amore
Mi guarda e tace.
E mi avvolge
L’iridescente schiuma –
La nostalgia trascina
E – canta.
Ecco l’autunno
Che mi guarda
Con occhi spenti
E piange.
Io so, lui ha visto:
La felicità passò,
Mi mise in ginocchio
E – se ne andò.
(30.6.1941)
Selma Meerbaum-Eisinger era una diciassettenne di Czernowitz, un paesino della Bucovina, regione confinante tra l'Ucraina e la Moldavia che, dal dominio dell'Impero Austroungarico, passò al governo rumeno per poi subire l'occupazione sovietica e infine quella nazista. Cugina del poeta e scrittore Paul Celan, Selma stessa fu poetessa precoce e giovane di rara sensibilità. Ragazza vivace, allegra e sorridente, fu perseguitata e deportata, insieme ai suoi genitori e ad altri circa cinquemila ebrei, nel campo di lavoro nazista di Michajlovka, nelle steppe desolate dell'Ucraina, dove, non ancora ventenne, morì di stenti e di tifo nel 1942.
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