giovedì 9 luglio 2015

Wislawa Szymborska




Dunque ci sei? 
Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, 
e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, 
al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

*
                                                                               
                                                                             
                                                                               *
Il Tempo
ha il diritto di intromettersi
in tutto, bene o male che sia.
Tuttavia
lui che sgretola montagne,
sposta oceani
ed è presente al moto delle stelle,
non avrà il minimo potere
sugli amanti,
perché troppo nudi,
troppo avvinti,
col cuore in gola
arruffato come un passero.

*



*
Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.

sabato 4 luglio 2015

JEAN COCTEAU

Begli amanti

Begli amanti intrecciate i vostri nomi sulla sabbia
Incideteli nella corteccia o sul gesso dei muri
Testimoniate begli amanti l’inesauribile
Fonte calda che corre verso coppie future.
Fate come i re che per rendersi eterni
Scelgono l’orgoglio del marmo
Se l’inchiostro e i marmi si spezzano
Ci resterà la traccia di un bacio.
Intrecciate i vostri nomi come le vostre membra
Scrivete non importa dove la gloria del momento
E il solitario sulla carta da parato nelle camere
Decifri il furore dei vostri accoppiamenti.



Scrivete il vostro nome sopra un albero
che presto arriverà fino al nadir
Un albero è migliore d’ogni marmo
dato che ci si vede i nomi crescere.



martedì 30 giugno 2015

Alexandros Panagulis






IL PERCORSO

Tre passi in avanti
e tre indietro di nuovo
mille volte lo stesso percorso 
Seimila passi 
La passeggiata di oggi 
mi ha stancato 
Forse perché 
misuravo i passi 
Ora sto fermo 
ma domani 
comincerò a camminare all'inverso 
(La varietà abbellisce la vita!) 
E un'altra cosa penso: 
se faccio i passi più corti
quattro a quattro potrò misurarli 
Sì l'ho pensata bene 
Il percorso diventerà più bello...


GLI SPETTATORI

Sacrifici vestiti
con begli inni
ignoranza nascosta
in tante conoscenze
bugie che amarono tutti gli uomini

Opera che fu recitata
da secoli e ora
le stesse parole


le stesse figure
e sono comparse 
gli spettatori
Grano e olio e vino
luce e incensi
vesti d'oro e preghiere
Chiese e altari e simboli
e come comparse sempre
gli spettatori
Natale 1971


IL PROGRESSO

C'erano schiavi un tempo
Oggetti di carne
Animali con due piedi
che nascevano e morivano
servendo bestie con due piedi

Sì 
c'erano schiavi un tempo
che in vita
li teneva la speranza
della Libertà

Anni e anni sono passati
e adesso
quegli schiavi non esistono più

Ma è nato
un nuovo genere di schiavi
Schiavi pagati
Schiavi saziati
Schiavi che ridono
Schiavi che vogliono
Rimanere schiavi

Questo è il Progresso!
1972


PROMESSA

Le lacrime che dai nostri occhi
vedrete sgorgare
non crediatele mai
segni di disperazione
Promessa sono solamente
Promessa di lotta
Febbraio 1972


COME ANDAVANO I POETI

Come andavano girando nel passato
i poeti
e come declamavano le loro verità
verità vestite di belle parole
dai racconti battezzate
così andavo girando anch'io
in luoghi sconosciuti
ma belli al pari dei nostri
e volevo credere che
non voltavo le spalle al mondo

Non viaggio io
parlo a me stesso
pei boschi i monti le valli
non viaggio io
sono le campagne che corrono
e il mio ricordo legato agli amici
che in qualche posto
stavano aspettando
di vedermi sbucare all'improvviso
ai giorni lontani in cui
con la sola forza dei sogni
costruivamo speranze
e il dolore
ci accompagnava ovunque sempre

Alberi montagne vallate viaggiano
ed io
legato a loro che soffrivano perchè soffrivo
che piangevano perchè piangevo
che invocavan sbarre perchè ero dietro le sbarre
Solo

Sono trascorsi anni e io
senza dimenticare il dolore
ma senza diventare
ingiusto a rievocarlo
per le stesse strade vo camminando
strade che soltanto
chi ha sofferto conosce
e la mia cella anelo con nostalgia
se penso che in quei giorni davo qualcosa
che tutti capivano

E quando penso a quello che so
che accade ora
ora più di allora
senza che gli altri riescano a capirlo
neanche a intuirlo
dico:
la mia fine verrà nel modo in cui vogliono coloro che hanno il 
potere.
28 Aprile 1976

lunedì 8 giugno 2015

JULIO CORTAZAR

 TOCCO LA TUA BOCCA 

Tocco la tua bocca, con un dito tocco tutto l’orlo della tua bocca, la sto disegnando come se uscisse dalle mie mani, come se per la prima volta la tua bocca si schiudesse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, ogni volta faccio nascere la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie e ti disegna in volto, una bocca scelta fra tutte, con sovrana libertà scelta da me per disegnarla con la mia mano sul tuo volto, e che per un caso che non cerco di capire coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti disegna.

Mi guardi, mi guardi da vicino, ogni volta più da vicino e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi ingrandiscono, si avvicinano fra loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche si incontrano e lottano tiepidamente, mordendosi con le labbra, appoggiando appena la lingua sui denti, giocando nei loro recinti dove un’aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di affondare nei tuoi capelli, carezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranza oscura. E se ci mordiamo il dolore è dolce, se soffochiamo in un breve e terribile assorbire simultaneo del respiro, questa istantanea morte è bella. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare stretta a me come una luna nell’acqua.



martedì 2 giugno 2015

GIUGNO CESANO

In collaborazione con la Pro loco di Cesi,
 il 5 giugno replicheremo la commedia di Giulio Biancifiori
 Lu Posticinu,  
 il 13 porteremo in scena uno spettacolo su Libero Liberati. 


VI ASPETTIAMO






venerdì 29 maggio 2015

Dedicato alla nonna



                                                                 

Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo.
(Virginia Woolf)





DEDICATO ALLA NONNA

Esile, curva dietro una finestra, 
lavori ancora i merletti dei ricordi
a volte ti fermi e assente,
guardi nel vuoto degli anni.
Piccole mani segnate dal tempo
Tenendo il rosario per una infantile preghiera
La litania dei pensieri avuti
Non lascian spazio agli anni che porti
Ti assopisce una malinconia senza domani.
Un grembiule di ricordi
Porti trepidante,ti appoggi senza difesa
Trema la tua voce ,sotto il vagante passo
Ancora ancorato alle sorti della famiglia.
Nel quadro dei tuoi anni 
Anche io mi riconosco
Esile come TE!

Rosa De Petris

mercoledì 27 maggio 2015

Annie Vivanti



Aut aut
Io voglio il sole, io voglio il sole ardente 
 Che l’ebbrezza mi dia del suo splendore, 
 O pur la buia notte ed il fragore 
 Forte de la tempesta alta e furente. 
 La grigia nebbia il core la detesta: 
 Datemi il cielo azzurro o la tempesta. 
 Voglio la libertà! la sconfinata 
 Intera libertà la voglio mia! 
 O pur la tetra e stretta prigionia 
 Di quattro travi e la cassa inchiodata. 
 Oh, se non m’è concesso l’infinito, 
 Ch’io, l’ali infrante, giaccia seppellito 
 E voglio l’amor tuo; l’intero ardente, 
 Illimitato amore, o l’odio intenso. 
 Ma sia l’odio o l’amor, lo voglio immenso! 
 Io non sopporto un guardo indifferente. 
 L’amor che tutto soffre e tutto dona 
 O l’odio che non piega e non perdona. 
 O tutto o nulla io voglio: il riso o il pianto, 
 Il sole d’oro o l’uragano nero, 
 la stretta bara o l’universo intero, 
 E dallo sguardo tuo martirio o incanto! 
 Tutti i tuoi baci dammi e tutto il core, 
 O la croce sublime del dolore!



Annie Vivanti (Norwood, 7 aprile 1866 – Torino, 20 febbraio 1942) è una scrittrice dimenticata che nel primo ventennio del ‘900 fu autrice di best seller come Divoratori (1911), Circe (1912), Vae victis (1917), Naja tri pudians (1920), Mea culpa!(1927). Rappresentò un vero fenomeno letterario,  e fu una delle narratrici più note e capaci di conquistarsi un ampio seguito.
Suo padre era seguace degli ideali politici di Mazzini, per questo trovò rifugio politico in Italia. Ha esordito nel mondo letterario con la raccolta poetica Lirica pubblicata in Italia con la prefazione di Giosuè Carducci.
Le sue opere furono  tradotte in tutte le lingue europee e recensite da grandi nomi della cultura quali Benedetto Croce e Giuseppe Antonio Borgese.
 È sepolta al Cimitero monumentale di Torino e sulla sua semplice tomba sono scritti i primi versi della più celebre fra le poesie che Carducci le aveva dedicato: “Batto alla chiusa imposta con un ramicello di fiori. Glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie”.







lunedì 20 aprile 2015

Daniel Varujan


Il giogo
I miei buoi sono biondi, hanno le fronti di luce
che ho adornato con un amuleto blu.
Sono ebbri dell’aria primaverile del mattino - 
guardano pacifici la campagna tranquilla.

Durante l’inverno li ho nutriti di fieno - 
sembrano i grassi idoli del tempio. 
La loro coda pelosa e pettinata
scivola sui fianchi come un serpente. 

Amo il loro dorso dalle mille pieghe,
le loro narici umide, le grandi pupille
dove si riconosce il sogno immutabile della campagna.

Amo di loro i corpi dondolanti, e il possente muggito
dagli orizzonti - quando avanzano senza fermarsi
con le corna immerse nell’Alba.


Aia
Mi siedo sull’aia sognando
        all’ombra del mio asino
che legato vicino a me sfrega
la sua dolce mascella sulla mia spalla.

Sulla pianura, calma, dilaga
l’onda bianca del sole
i covoni vi nuotano, e la tartaruga
la cerca per riscaldarsi.

L’ala del vento, carica di tiepidi profumi,
si muove appena, pigramente.
L’ombra della vacca sulla luce gloriosa
è un largo rattoppo nero. 

Trasportate le sue cose, il contadino
ha fondato là un nuovo villaggio...
lontano giace sulla soglia muschiosa
        e fa la guarda solitario il mastino.

Nell’aia il covone stuccato dal sole
sembra una casetta dorata.
L’ombra fresca dell’albero dal folto fogliame diventa
il velo di una sposa novella.

Ed io seduto all’ombra del mio asino
canto i valorosi della terra
che appena appesa la falce al muro
addestrano il toro all’aratro.

Canto il pastore che spiana l’aia
col rullo di pietra attaccato alle spalle,
la camicia inondata di sudore
aperta sul petto. 

Canto le spose che, con le dita colorate di henné,
setacciano l’orzo vigorosamente;
si disperdono dai fori del loro setaccio,
diresti, gocce di perle. 

Canto i contadini che in cima ai carri
eretti come dèi
col forcone ferocemente distruggono
l’enorme catasta dei covoni.

La trebbiatrice canto, che naviga intorno al raccolto
come su un lago color di fuoco, 
e anche il grano turbinante che già 
nuota in mezzo alla paglia. 

Oh, quanto è dolce confondersi con l’essere
in questo lavoro sacro;
dai sandali fino ai capelli immergersi
nelle polveri gialle dorate.

In cerca della scintilla del forno, del pane del campo
essere il Pan delle aia,
restituire al cuore dei mulini
i loro canti infiniti. 


Papaveri
Cogli, sorella, questi papaveri nel recinto - 
sanguinanti come cuori innamorati.
Nelle loro coppe di cristallo
berremo l’onda del sole. 

Tanto divampano di fiamme
che il loro incendio brucia i campi sterminati. 
Nelle loro coppe di fuoco
berremo le scintille delle stelle.

Cogli, sorella, come la quaglia nascosta
tra i grani che dolcemente vezzeggiano.
Nelle loro coppe scarlatte
berremo il sangue dei solchi. 

Chini sui nidi delle allodole
fluttuano come grappoli di raggi rossi. 
Nelle loro coppe rubino
berremo la promessa della Primavera.

Cogli, sorella, non i papaveri, ma la fiamma;
avvolgi del loro incendio il tuo grembiule verginale.
Nelle loro coppe delicate
berremo i fuochi di giugno. 

Fiori sbocciati come le tue tenere labbra, 
conversano con il grano vibrante.
Nelle loro coppe purpuree
berremo il mistero delle spighe. 

Coglili, sorella, perché di essi c’incoroneremo
per la gioiosa festa di domani, al villaggio.
E in queste coppe, danzando, 
berremo il vino dell’amore. 



sabato 11 aprile 2015

Arsenij Tarkovskij

La vita è la meraviglia delle meraviglie

E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.

Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.

Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie,
e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso.




giovedì 9 aprile 2015

WILLIAM WORDSWORTH (1770-1850)


Insieme  con S.T. Coleridge, Wordsworth fu l'iniziatore del movimento romantico in Inghilterra e il più grande poeta della natura percepita con una forza e una sensibilità assolutamente originali e senza precedenti nella letteratura inglese. 

***
Il mio cuore esulta al cospetto
dell’arcobaleno che sta nascendo:
come venendo al mondo;
come nel sapersi uomo;
così, nello scoprirsi vecchio,
mi sia data la morte!
Il Bambino è padre dell’Uomo
e siano i miei giorni
l’uno all’altro stretti
dal sentimento della natura.

***

Vagavo solo come una nuvola
che galleggia in alto, oltre valli e colline,
quando all’improvviso ho visto una folla,
una moltitudine di giunchiglie dorate,
accanto al lago, sotto gli alberi,
svolazzare e danzare nella brezza.
Continue come stelle che splendono
e scintillano sulla via lattea,
si stendevano in una linea infinita
lungo il margine di una baia.
Ne vidi diecimila a colpo d’occhio
che scuotevano le teste in una danza vivace.
Le onde ballavano al loro fianco ma loro
superavano le scintillanti onde in allegria
un poeta non poteva che essere felice
in una compagnia così gioconda
io le fissavo sempre di più ma pensavo poco
alla ricchezza che quello spettacolo mi aveva portato
perchè spesso, quando sto sdraiato sul mio giaciglio
distratto o pensoso,
loro lampeggiano su quell’occhio introspettivo
che è la beatitudine della solitudine
allora il mio cuore si riempie di piacere
e danza con le giunchiglie



sabato 4 aprile 2015

Buona Pasqua


Dall’uovo di Pasqua
è uscito un pulcino
di gesso arancione
col becco turchino.
Ha detto: “Vado,
mi metto in viaggio
e porto a tutti
un grande messaggio”.
E volteggiando
di qua e di là
attraversando
paesi e città
ha scritto sui muri,
nel cielo e per terra:
“Viva la pace,
abbasso la guerra”.
Gianni Rodari


venerdì 3 aprile 2015

José Hierro






LE STRADE NON PORTANO...

Le strade non portano
a nessuna meta; tutte
terminano in noi.
La fiamma del crepuscolo
ci fonde in unità.

È bello camminare,
sognare, cantare. Bello
essere gran tenerezza
con un cuore vicino,
(con un dolore remoto).

La sera si denuda,
mostra i suoi ori profondi.
Ogni forma ci incanta
col suo vino gioioso.

Ormai non c’è nulla: – passato,
futuro, ombre, gioie –,
fuori di noi.
La sera spolvera
il suo caldo tesoro.

I suoi pampini di fuoco
stillano nei nostri occhi.
La sera è nostra. Il mondo
fu fatto per noi.

Siamo il suo centro vivo
e gira il tempo intorno.
Passa e non può ferire
col suo dolore remoto
il nostro cuore vicino.

Le strade non portano
a nessuna meta; tutte
terminano in noi.
da Con le pietre, con il vento (1950)




TRAMONTA IL SOLE

Perdonami. Non accadrà di nuovo.
Ora vorrei
meditare, raccogliermi, dimenticare: essere
foglia d'oblio e solitudine.
Sarebbe stato necessario il vento
che semina le scaglie dell'autunno
con rumore e colore.
Sarebbe stato necessario il vento.
Parlo con l'umiltà,
con la disillusione, la gratitudine
di chi visse dell'elemosina della vita.
Con la tristezza di chi cerca
una povera verità a cui appoggiarsi e riposare.
L'elemosina fu bella - esseri, sogni, successi, amore -
dono gratuito, perché nulla meritai.
E la verità! E la verità!
Cercata a tratti, negli esseri,
ferendoli e ferendomi;
frugata nelle parole;
scavata nel profondo dei fatti
- minimi, giganteschi, che importa:
alla fin fine nessuno sa
che cosa è piccolo e che cosa enorme;
grande si può chiamare una ciliegia
("oggi cadono solo le ciliegie",
mi dissero un giorno, ed io non so per che fu),
piccolo può essere un monte,
l'universo e l'amore -.
Mi è sfuggito qualcosa
che era accaduto.
Qualcosa di cui io mi pentivo
o, forse, mi vantavo.
Qualcosa che dovette essere in altra guisa.
Qualcosa che era importante
perché apparteneva alla mia vita: era la mia vita.
(Perdonami se considero importante la mia vita:
è tutto quello che ho, che ho avuto;
da molto tempo io l'avevo vissuta
al buio, senza lingua, senza orecchie, senza mani,
sospeso nel vuoto,
senza speranza.)
Ma mi si è cancellata
la storia (la nostalgia)
e non ho progetti
per domani, e neppure credo
che esista questo domani (la speranza).
Vo  nel presente
e non vivo il presente
(la pienezza nel dolore e l'allegria).
Sembro un esiliato
che ha dimenticato perfino il nome della sua patria,
il suo stato preciso, le strade
che conducono ad essa.
Perdonami se ho bisogno
di verificare il suo posto esatto.
E quando saprò dove l'ho perduta,
voglio offrirti il mio esilio, quel che vale
quanto la vita per me, che è il suo senso.
E allora triste, ma incrollabile,
perdonami, ti offrirò una vita
senza più demonio né allucinazioni.


martedì 31 marzo 2015

Hans Christian Andersen

Penna e Calamaio


 C'era una volta un Calamaio sopra un tavolino, nella cameretta d'un Poeta; e qualcuno, guardandolo, disse un giorno: «Fa meraviglia pensare a tutto quello che può venir fuori da un calamaio. Chi sa che ne uscirà ora? Davvero ch'è meraviglioso!»
«Sì, certo!» disse il Calamaio: «Pare impossibile: lo dico sempre anch'io!» — e si rivolse alla Penna ed agli altri oggetti che stavano sopra al tavolino, abbastanza vicini per udirlo: «È meraviglioso pensare che infinità di cose vengano fuori da me: pare proprio incredibile. E dire ch'io stesso non so che cosa uscirà tra poco, quando l'uomo ricomincerà ad attingere da me! Una mia gocciola sola basta per mezza pagina di carta: e che cosa non può stare in mezza pagina? Sono davvero straordinario! Da me procedono tutte le opere del Poeta, tutte quelle creature vive, che la gente si figura di avere incontrate per davvero, tutti i più profondi sentimenti, e tutto l'umorismo, e tutte le smaglianti pitture della natura. Io stesso non so capire come sia, perché di queste cose non m'intendo punto; ma tutto vive dentro di me. Da me uscirono ed escono in frotta le vaghe fanciulle, i prodi cavalieri sui focosi destrieri, e tutte le sirenette e gli elfi e gli anitroccoli e gli usignoli e le rose, e non so che altro ancora. E pure, vi assicuro, io non ne so nulla e nemmeno ci penso.»
«Qui, tu l'hai detta giusta!» esclamò la Penna: «Tu non pensi niente affatto; perchè se tu pensassi, comprenderesti che non fai altro se non fornirmi la fluidità. Tu fornisci il mezzo perchè io possa mostrare sulla carta quello che ho dentro, e quello che voglio mettere in luce: ma la penna scrive. Di questo nessun uomo dubita; e in verità che molti uomini non hanno più intelletto di poesia d'un vecchio calamaio!»
«Tu hai poca esperienza ancora!» — rispose il Calamaio: «Sei in servizio appena da una settimana, e sei già logora. T'immagini forse d'essere tu il Poeta? Non sei che una serva; e prima che venissi tu, ne ho conosciute molte della tua condizione, alcune della famiglia delle oche ed altre venute da una fabbrica d'Inghilterra. Conosco la penna d'oca e quella d'acciaio. Ne ho avute molte al mio servizio e molte altre ancora ne avrò, quando verrà l'uomo che si affatica tanto per me e scrive tutto quello che da me deriva. Mi basterebbe sapere che cosa trarrà fuori da me la prossima volta!»
«Pentolo da inchiostro!» — schizzò la Penna stizzita.
La sera, tardi, il Poeta ritornò a casa. Era stato ad un concerto, dove aveva udito un violinista famoso, ed era entusiasta di quella mirabile esecuzione. L'artista aveva cavato una meravigliosa ricchezza di suoni dallo strumento: tal volta, sembravano gocciole d'acqua cadente, perle sgranate in bacili d'argento, o canti d'augelli gorgheggianti in coro; tal altra, in vece, i suoni parevano gonfiarsi come la raffica del vento tra gli abeti. Al Poeta sembrava di sentire il pianto del suo proprio cuore, ma un pianto melodioso, come un canto dolcissimo di donna. Non solo le corde, ma le fibre tutte dello strumento sembravano animarsi. Ah, che stupenda esecuzione! E sebbene il pezzo fosse difficilissimo, l'arco scivolava naturalmente, quasi per gioco, sulle corde; si sarebbe detto che chiunque potesse fare altrettanto. Il violino sembrava sonare da se, e spontaneamente pareva muoversi l'arco: pareva facessero tutto tra loro due; e l'uditorio dimenticava il maestro che li guidava, infondendo loro anima e spirito. Il maestro era quasi dimenticato; ma egli, il Poeta, lo ricordò e ne scrisse il nome, e diede forma ai pensieri che gli aveva inspirati.
«Che sciocchi sarebbero violino e archetto, se menassero vanto dell'opera loro! E pure noi, uomini, commettiamo sovente simile follia: poeta, artista, scienziato, generale — tutti noi facciamo altrettanto, vantando l'opera nostra, mentre non siamo se non gli strumenti di cui l'Onnipotente si serve. A Lui solo sia gloria! Noi di nulla possiamo andar superbi!»
Sì, questo scrisse il Poeta; lo scrisse in forma di parabola, ed intitolò la parabola: «Il Maestro e gli Strumenti.»
«Questa viene a te, caro!» — disse la Penna al Calamaio, quando rimasero soli di nuovo. «Gli hai sentito legger forte quello che io ho scritto?»
«Sì, quello che io t'ho dato da scrivere!» — ribatte il Calamaio: «Una buona allusione per te, per la tua presunzione. Che tu non abbia nemmeno a capire che ti si mette in canzonella! E pure questa frecciata mi è proprio venuta su dal fondo del cuore. Almeno delle mie satire, saprò, spero, dove vanno a parare.»
«Pozzo nero!» — gridò la Penna.
«Scopa da scrivere!» — rimbeccò il Calamaio.
Tutti e due erano convinti d'aver risposto bene all'insulto; e quella d'aver risposto a dovere è sempre una convinzione piacevole, sulla quale si può dormir tranquilli. Infatti, tutti e due si addormentarono: ma il Poeta non dormiva. I pensieri sorgevano dall'intimo suo, come le note del violino, cadevano come perle, urlavano come raffiche di vento a traverso la foresta: in quei pensieri egli chiariva a se stesso il proprio cuore, e vi coglieva un raggio dell'Eterno Maestro.
A Lui solo tutta la gloria!


lunedì 30 marzo 2015

Octavio Paz



Dire: fare

Idea palpabile,
parola
impalpabile:
la poesia
va e viene
tra ciò che è
e ciò che non è.
Tesse riflessi
e li stesse.
La poesia
semina occhi nella pagina,
semina parole negli occhi.
Gli occhi parlano,
le parole guardano,
gli sguardi pensano.
Udire
i pensieri,
vedere
ciò che diciamo,
toccare
il corpo dell'idea.
Gli occhi
si chiudono,
le parole si aprono.



Tra ciò che vedo e dico,
tra ciò che dico e taccio,
tra ciò che taccio e sogno,
tra ciò che sogno e scordo,
la poesia.
Scivola
tra il sì e il no:
dice
ciò che taccio,
tace
ciò che dico,
sogna
ciò che scordo.
Non è un dire:
è un fare.
È un fare
che è un dire.
La poesia
si dice e si ode:
è reale.
E appena dico
è reale,
si dissipa.
È più reale, così?
Idea palpabile,
parola
impalpabile:
la poesia
va e viene
tra ciò che è
e ciò che non è.
Tesse riflessi
e li stesse.
La poesia
semina occhi nella pagina,
semina parole negli occhi.
Gli occhi parlano,
le parole guardano,
gli sguardi pensano.
Udire
i pensieri,
vedere
ciò che diciamo,
toccare
il corpo dell’idea.
Gli occhi
si chiudono,
le parole si aprono.

giovedì 26 marzo 2015

Erika Jong



“La schiava migliore”

La schiava migliore
non ha bisogno d’esser picchiata.
Si picchia da sè.
Non con una frusta di cuoio,
o con bastoni e verghe,
non con un randello
o con un manganello,
ma con la frusta fine
della sua stessa lingua
e il battere sottile
della sua mente
contro la sua mente.
Chi può infatti nutrire per lei metà
dell’odio che nutre essa stessa?
e chi può eguagliare la finezza
degli insulti che si rivolge?
Anni di allenamento
occorrono per questo.
Venti anni
di auto-indulgenza
e negazione di sé;
finché il soggetto si ritiene una regina
e pure una mendicante-
le due cose allo stesso tempo.
Deve dubitare di sè
in tutto fuorché l’amore.
Deve scegliere appassionatamente
e malamente.
Deve sentirsi perduta come un cane
senza il padrone.
Deve riferire tutte le questioni morali
al proprio specchio.
Deve innamorarsi di un cosacco
o di un poeta.
Non deve mai uscire di casa
se non celata sotto il trucco.
Deve portare scarpe strette
perché sempre ricordi di essere schiava.
Non deve dimenticare
che è radicata nel terreno.
Benché sia svelta nell’apprendere
e riconosciuta intelligente
il dubbio che istintivamente ha di sé
la deve rendere così debole
che si applica brillantemente
a mezza dozzina di opere d’ingegno
e così abbellisce
ma non cambia
la nostra vita.
Se è un’artista
e quasi quasi è un genio,
il fatto stesso d’avere questo dono
deve riuscirle così penoso
che si toglie la vita
piuttosto che vincerci.
E dopo la sua morte, piangeremo
e ne faremo una santa.


Io, Erika Jong, nel mezzo della mia vita
Alle spalle due genitori, due mariti
Vari uomini, due libri di poesia
E tre decadi di pena
Sparse lacrime per chi non mi ha amato
E per chi non ho amato io -
Mi dichiaro ora per la gioia.
C'è abbastanza pena, dappertutto, a nutrirci,
è la gioia che è scarsa. 
Io dico: all'inferno la tetraggine. 
All'inferno i cupi orgasmi,
la dedizione triste.
Nessun rinnegatore di gioia
Può rinnegarmi ora.
Io brucio! Io rido e offro pienezza
A chi disprezza se stesso.
Io dico: l'infelicità
È a buon mercato. All'inferno!
Le porte si aprono
E le metafore si spalancano!
Io affido al fuoco ogni parola. 




martedì 24 marzo 2015

Lawrence Ferlinghetti

 "Cos'è la poesia"

Poesia è
notizie dalla frontiera
della coscienza

Poesia è
il grido che grideremmo
al risveglio in una selva oscura
nel mezzo del cammin
di nostra vita

Una poesia è uno specchio
che percorre una via alta
colma di delizie visive

Poesia è lamina luccicante
dell'immaginazione
deve risplendere
e quasi accecarti

Il sole che irraggia
nelle reti del mattino

È notti bianche e
bocche di desiderio

È fatta
di aloni in dissolvenza
in oceani di suoni

È battute di strada
di angeli e diavoli

È un divano ricolmo di cantanti ciechi
dimentichi dei loro bastoni

Una poesia deve levarsi all'estasi
in qualche punto tra parola e canto

Che canti una poesia
ti voli via
o è anatra morta
dall'anima di prosa

Poesia è anarchia dei sensi
che si fa senso

Poesia è tutto
quanto nato alato canta

Come un vaso di rose una poesia
non la si deve
spiegare

Poesia è una voce di dissenso
contro lo spreco di parole
e la pletora folle della stampa

È ciò che sta
fra le righe

È fatta
da sillabe di sogni

È grida lontane lontano
su una spiaggia al calar della notte

È un faro
che muove il suo megafono
al di sopra del mare

È una foto di Ma'
in reggiseno Woolworth
che guarda dal vetro
un giardino segreto

È un Arabo che trasporta
tappeti variopinti ed uccelliere
per le strade
in una grande metropoli

Una poesia la si può fare in casa
con ingredienti di tutti i giorni
Sta in una pagina sola
ma può riempire un mondo e
sta bene nella tasca di un cuore

Il poeta è un cantante di strada
che salva strade-gatte d'amore

Poesia è pensiero-cuscino
dopo un rapporto

È distillato di animali articolati
che si chiamano l'un l'altro
traverso un golfo immenso

È frammento pulsante
di vita interiore
musica senza collare

È dialogo
di statue nude

È suono d'estate nella pioggia
e di gente che ride
dietro persiane chiuse
al fondo di un vicolo di notte

È lampadina spoglia
di un hotel di vagabondi
che illumina nudità
della mente e del cuore

Lasciate che il poeta sia animale da canto
fattosi lenone
per un re d'anarchia

Poesia è
lirica intelligenza incomparabile
volta a significare
varietà cinquantasette di esperienza

Poesia è una casa alta di echi
di ogni voce che abbia detto mai
qualcosa di folle
o meraviglia

Poesia è un'incursione sovversiva
sull'obliata lingua
dell'inconscio collettivo

Poesia è vero canarino in una miniera di carbone
e noi sappiamo perchè l'uccello in gabbia canti

Poesia è l'ombra gettata dalle nostre
immaginazioni-lampione

È voce
della Quarta Persona Singolare

È voce
entro la voce della tartaruga

È faccia
dietro la la faccia della razza

Poesia è fatta di pensieri-notte
Se può strapparsi via dall'illusione
non sarà rinnegata
prima d'alba

Poesia si fa evaporando
la risata liquida della gioventù

Poesia è libro di luce nella notte
che disperde nuvole di inconsapevolezza

Ode il bisbiglio
di elefanti e vede
quanti angeli danzano
su una punta di spillo

È un ronzare un lamentarsi estatico
ridendo un sospirare all'alba
una risata soffice selvaggia

È Gestalt finale
dell'immaginazione

Sia poesia emozione
ritrovata in emozione

Le parole sono fossili viventi
Ricomponga il poeta la
fera feroce
e la faccia cantare

Grande è un poeta solo quanto il suo orecchio
peccato se di latta

Poesia è lotta continua
contro silenzio, esilio inganno

Il poeta è un baluardo sovversivo
alle soglie della città
che sfida costantemente
il nostro status quo

È maestro d'ontologia
che interroga costantemente la realtà
e la reinventa

Prepara drink
dai liquori insani
dell'immaginazione
e perpetuamente si stupisce
che nessuno barcolli

Dovrebbe essere oscuro imbonitore
alle tende dell'esistenza

Poesia è quanto si ode dai tombini
echi di fuga del fuoco di Dante

Poesia è religione
religione poesia

È il ronzio di falene
cerchio intorno alla fiamma

È una barca di legno ormeggiata nell'ombra
sotto un salice in lacrime
entro l'ansa di un fiume

Il poeta deve avere un grandangolo
sguarda un mondo ogni sguardo
e il concreto è più poetico

Poesia
non è tutta eroina cavalli e Rimbaud
È anche preghiere impotenti
di passeggeri d'aereo
cinture allacciate
per la discesa finale

Poesia è vero oggetto
di grande prosa

Dice l'indicibile
Pronuncia l'impronunciabile
sospiro del cuore

Ogni poesia una temporanea follia
e l'irreale è il più realistico

Sia poesia ancora
tocco ribelle
alle porte dell'ignoto

Una poesia è sua stessa Coney Island
della mente
proprio circo dell'anima
Far Rockaway del cuore

Lasciate che un nuovo lirismo

salvi il mondo da sé!

Manifesto populista 
Per i poeti, con amore

Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte 
siete stati ritirati troppo a lungo 
nei vostri mondi chiusi. 
Scendete, scendete
dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills 
dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills 
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse, 
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne, 
fuori dai vostri tepees e dalle domes. 
Gli alberi stanno cadendo ancora 
e non andremo più nei boschi. 
Non è il momento ora di sedersi tra loro 
quando l’uomo incendia la propria casa 
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna 
mentre Roma brucia. 
San Francisco sta bruciando
la Mosca di Mayakovsky sta bruciando 
i combustibili fossili della vita. 
La Notte e il Cavallo si avvicinano 
mangiando luce, calore e potere 
e le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista 
sopra, oltre, dietro le scene, 
indifferente, tagliandosi le unghie, 
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari, 
non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie, 
non è il momento ora per la paura e il disgusto, 
è il momento solo per la luce e l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione 
distrutte dalla noia ai readings di poesia. 
La poesia non è una società segreta, 
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più. 
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene il momento di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre e per gioire 
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra e per l’Uomo. 
Il momento ora di esporsi 
nella completa posizione del loto 
con gli occhi completamente aperti,
il momento ora di,aprire le vostre bocche 
con un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti, 
tutti voi « Poeti delle Città »
appesi nei musei, includendo me stesso, 
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia 
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da workshop
nel cuore–giungla d’America, 
tutti voi addomesticati Ezra Pound, 
tutti voi poeti pazzi, sballati, da collage,
tutti voi poeti di Poesia Concrete pre–compressa, 
tutti voi poeti da cunniligio,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritmate mai sulle betulle,
tutti voi padroni della segheria haiku 
nella Siberia d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti, 
tutti voi visionari da camera da letto, 
ed agitprop da gabinetto, 
tutti voi poeti alla Groucho Marxista 
e Compagni di ozio di classe 
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato, 
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Brahamini di Boston e bucolici di Bolinas, 
tutte voi baby–sitters della poesia, 
tutti voi fratelli zen della poesia, 
tutti voi amanti suicidi della poesia, 
tutti voi grassi professori della poesia, 
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti, 
tutti voi Poliziotti della Poesia –
Dove sono i figli selvaggi di Whitman, 
dov’è la grande voce che parla ad alta voce 
con un senso di dolcezza e di sublimità, 
dov’è la nuova grande visione, 
la grande visione del mondo, 
l’elevata canzone profetica 
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa – 
Poeti, scendete
nelle strade del mondo ancora una volta 
e aprite le menti e gli occhi 
con la vecchia delizia visuale, 
schiarite la gola e parlate più forte, 
la poesia è ,morta, lunga vita alla poesia 
con occhi terribili e forza di bufalo. 
Non aspettate la rivoluzione 
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce 
con una nuova poesia completamente aperta
con una nuova comune-sensuale « comprensione–pubblica » 
con altri livelli soggettivi
od altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno 
per colpire sotto la superfice.
Del vostro dolce lo che ancora cantate 
ancora esprimete « la parola en-masse » – 
Poesia il veicolo comune 
per il trasporto del pubblico 
verso luoghi più alti
di altre ruote che possano portarla. 
Poesia che ancora cade dai cieli 
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora innalzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini & donne attraenti camminano ancora qui, 
dovunque ancora attraenti creature, 
negli occhi di tutti il segreto di tutti 
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono, 
si svegliano e camminano nell’aria aperta.


Canto di vagabondo

Andiamo
Venite 
Andiamo
Vuotiamo le tasche 
e scompariamo.
Mancheremo a tutti gli appuntamenti 
ci rifaremo vivi tra anni 
con la barba lunga 
vecchie cartine da sigarette 
attaccate ai pantaloni 
foglie nei capelli
Non ci preoccupiamo 
più
dei pagamenti. 
Che vengano pure 
a prendersi 
tutto ciò
per cui stavamo pagando. 
E si prendano anche noi.

Alziamoci e andiamo
dove i cani la fanno 
Sulla Collina
dove conservano i terremoti 
dietro l’immondezzaio della città 
perduti tra tubature del gas e spazzatura 
Andiamo a vedere cos’è 
l’Immondezzaio Cittadino. 
Paese mio è per te che piango. 
Leviamoci di mezzo 
in cimiteri d’automobili
riappariremo tra qualche anno 
a raccogliere stracci e giornali 
asciugarci mutande 
rattoppate al sedere 
ai fuochi di spazzatura. 
Non prendiamoci la briga 
di dire addio
a nessuno.
Non mancheremo alle mogli.

Andiamo
puzzando di carbone
dove sulle panchine siedono 
vecchie statue dei giardini 
nella fonda notte interiore 
della fiorita bowery 
i nostri occhi acquosi 
nella contemplazione
di bottiglie vuote dì moscato. 
Declamiamo versetti dì bibbie trovate 
agli angoli delle strade 
Seguiamo i cani fino ai moli 
Cantiamo laide canzoni 
Tiriamo sassi
Diciamo qualunque cosa
Sbattiamo gli occhi al sole e grattiamoci 
e scontriamoci col silenzio 
Imbrogliamo nei portoni 
Avviciniamo puttane di terza mano 
dopo che chiunque altro se l’è lavorate 
Vagabondiamo a caso nei tramonti sull’East Ríver 
Dormiamo in cabine telefoniche 
Vomitiamo in monti di pietà 
struggendoci per un cappotto da inverno.

Alziamoci e andiamo
nelle fogne della città 
dove i bidoni rotolano
e riappaiono in putride vesti
come i re senza corona degli infernali 
gabinetti per uomini della metropolitana. 
Diamo da mangiare ai piccioni
al Municipio
raccomandandogli di fare i loro bisogni 
nell’ufficio del Sindaco. 
Sbrighiamoci vi dico è l’ora. 
La fine si avvicina.
Improvvisi diluvi 
Disastri nel sole
Cani senza guinzaglio
Una sorella del marciapiede 
ha il reggiseno alla rovescia

Alziamoci e andiamo
verso la fonda notte interiore 
della tranquilla bowery dell’anima 
a ritrovarci
dove i treni s’arrestano in attesa 
sotto il Fiume.
Raggiungiamo
la confusione totale.
Il Ferry del Sud non correrà per sempre. 
Stanno diminuendo i ferry della Baia 
ma non è ancora troppo tardi
per perderci a Oakland. 
Washington deve ancora cadere 
da cavallo.
C’è ancora tempo per sfotterlo 
e proseguire
abbandonando il modulo delle tasse 
e i nostri orologi a prova d’acqua 
barcollando ciecamente dietro gatti randagi 
sotto il ponte di Brooklyn 
statue fiorite in pantaloni rigonfi 
i nostri pianti di latta e le voci immonde 
che si trascinano.
Roba vecchia da vendere!

Andiamocene da qui
nell’interno vero del paese 
dove regnano i monti di pietà 
mera cosciente anarchia su noi. 
Laggiù è la fine
ma il golf continua sugli erbosi campi.
Piove a dirotto
Il Vecchio fa fagotto. 
Il tempo s’è rotto
ma non come si crede.
C’è ancora tempo per affondare 
e pensare.
Vorrei scendere in società. 
Vorrei essere libero.
Vieni lentamente dolce carro. 
Non aspettiamo cadillac 
per raggiungere in trionfo 
l’interno
salutando i nativi
come senatori romani nelle province 
recinte le fronti illuminate 
dell’alloro del poeta. 
Non aspettiamo l’articolo 
sulla prima pagina 
della rivista letteraria del Times
con l’immagine di un successo balordo 
nel sorriso della fotografia. 
Quando la rivista Life 
ti pubblica la foto
sei già diventato negativo
una stampa di lusso su carta lucida. 
Verranno a prenderti 
per renderti famoso 
ma non sarai ancora libero.
Ora vi saluto e me ne vado.
Svendo tutto
e regalo il resto
alle Industrie di Buona Volontà.
Tra poco qui sarà buio
con la banda dell’Esercito della Salvezza.
E la mente avrà la sua propria luce.
Vi saluto ed esco dalla comune.
Chiudete la baracca.
Il sistema è decaduto.
Roma non fu mai così.
Sono stufo di aspettare Godot.
Me ne vado dove le tartarughe vincono
Me ne vado
dove i trafficanti muoiono vomitando 
Giù nelle luride pianure 
del mondo ufficiale. 
Roba vecchia da vendere! 
Paese mio è per te che piango.

Dunque andiamocene da qui 
dimenticando le farfalle sui lampioni 
Lasciamoci crescere la barba 
dell’anarchia vagabonda 
tutti somiglianti a Walt Whitman 
una bomba ballerina in saccoccia. 
Vorrei scendere la scala sociale. 
L’alta società è la bassa società. 
Io sono un arrampicatore sociale 
che si arrampica verso il basso 
E la discesa è difficile. 
L’Ideale della Grossa Borghesia 
è da dare agli uccelli 
ma gli uccelli non sanno che farsene 
una loro regola per beccare ce l’hanno 
ed è basata sulla loro canzone. 
Ahimè quanti piccioni sull’erba.

Alziamoci e andiamo
all’Isola dell’Uomo-libero. 
Liberiamo i porci della pace. 
Sbrighiamoci vi dico è l’ora. 
Alziamoci e andiamo 
nell’interno
della tavola calda Foster. 
Salve Emily Post. 
Salve
Lowell Thomas. 
Addio Broadway. 
Addio Herald Square. 
Mandiamo all’aria il sistema. 
Spengiamolo.
Strappiamo i contratti d’affitto. 
Perdiamo la Guerra 
senza uccidere nessuno. 
Lasciamo i cavalli urlare
e le signore correre
in toelette senza catena.
La fine è appena cominciata. 
Voglio annunciarlo. 
Correte non camminate 
all’uscita più vicina. 
Il vero terremoto è in arrivo. 
Sento gli edifici scuotersi. 
Sono un tipo raffinato. 
Non lo sopporto. 
Me ne vado
dove scaldano le sedie
i collezionisti di mode che si autodefiniscono 
critici letterari.
Il mio arnese è polveroso.
Il mio corpo è stato appeso troppo a lungo 
a strane bretelle.
Datemi per sospensorio 
una sciarpa vivace. 
Scateniamoci e andiamo
dove le macchine sport crollano 
e il mondo ricomincia. 
Sbrighiamoci vi dico è l’ora. 
È un’ora di straordinario 
e qui sta l’inganno. 
Il pensatoio c’impoltrisce.

Andiamocene
verso la perduta eternità.
Da qualche parte i campi sono pieni di allodole. 
Da qualche parte la terra danza. 
Paese mio è per te
che canto.

Alziamoci e andiamo
all’Isola dell’Uomo-libero
a vivere la semplice e piena vera vita 
della saggezza e dello stupore 
dove tutte le cose crescono 
diritte
oblique e cantanti 
nel sole giallo
papaveri nati nell’orma d’una vacca 
angeli pensanti dallo sterco. 
Ora devo alzarmi e andare 
all’Isola dell’Uomo-libero 
molto in alto oltre la voce rotta 
e i boschi dell’Arcadia.