e che possano ridere delle loro passioni!
Infatti, ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale,
ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno.
E, soprattutto, che possano credere in se stessi,
e che diventino indifesi come bambini:
perchè la debolezza è potenza,
e la forza è niente.
Quando l'uomo nasce è debole e duttile,
quando muore è forte e rigido.
Così come l'albero, mentre cresce, è tenero e flessibile,
e quando è duro e secco, muore.
Rigidità e forza sono compagni della morte;
debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza.
Ciò che si è irrigidito non vincerà.”
Primi Incontri
Ogni istante dei nostri incontri
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: "Tu sia benedetta",
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e " Dio mio! " tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici - il catino, la brocca - quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo"
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.
lo festeggiavamo come un’epifania,
soli a questo mondo. Tu eri
più ardita e lieve di un’ala di uccello,
scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio.
Quando giunse la notte mi fu fatta
la grazia, le porte dell’iconostasi
furono aperte, e nell’oscurità in cui luceva
e lenta si chinava la nudità
nel destarmi: "Tu sia benedetta",
dissi, conscio di quanto irriverente fosse
la mia benedizione: tu dormivi,
e il lillà si tendeva dal tavolo
a sfiorarti con l’azzurro della galassia le palpebre,
e sfiorate dall’azzurro le palpebre
stavano quiete, e la mano era calda.
Nel cristallo pulsavano i fiumi,
fumigavano i monti, rilucevano i mari,
mentre assopita sul trono
tenevi in mano la sfera di cristallo,
e " Dio mio! " tu eri mia.
Ti destasti e cangiasti
il vocabolario quotidiano degli umani,
e i discorsi s’empirono veramente
di senso, e la parola tua svelò
il proprio nuovo significato: zar.
Alla luce tutto si trasfigurò, perfino
gli oggetti più semplici - il catino, la brocca - quando,
come a guardia, stava tra noi
l’acqua ghiacciata, a strati.
Fummo condotti chissà dove.
Si aprivano al nostro sguardo, come miraggi,
città sorte per incantesimo,
la menta si stendeva da sé sotto i piedi,
e gli uccelli c’erano compagni di strada,
e i pesci risalivano il fiume,
e il cielo si schiudeva al nostro sguardo"
Quando il destino ci seguiva passo a passo,
come un pazzo con il rasoio in mano.
Vita, vita
Non credo nei presentimenti e dei segni
non ho paura. Né la calunnia
né il sarcasmo
io fuggo. Nel mondo non c’è la morte.
Tutti sono immortali. Tutto
è immortale.
Non bisogna temere la morte né a
diciassette anni
Né a settanta. Esistono solo la
realtà e la luce,
in questo mondo non ci sono né buio
né morte.
Noi tutti siamo già sulla riva del
mare
ed io sono tra quelli che tirano le reti
mentre passa a branchi l’immortalità.
II
Vivete in casa – e casa non crollerà.
Io evocherò uno qualunque dei
secoli,
entrerò in esso ed in esso una casa
costruirò.
Ecco perché sono con me ad un unico
tavolo
i vostri figli e le vostre mogli.
Ma c’è un unico tavolo per il bisnonno e
per il nipote.
Il futuro si compie ora
e se io sollevo la mano
tutti e cinque i raggi rimarranno presso
di voi.
Io ogni giorno del passato, come una
puntellatura,
con le mie clavicole ho sostenuto,
misurai il tempo con la catena
dell’agrimensore
ed attraverso esso sono passato, come
attraverso gli Urali.
Io mi sceglievo il secolo secondo la
grandezza.
Andavamo al sud, alzavamo la polvere
sopra la steppa;
l’erbaccia fumava; il grillo campestre
faceva il birichino,
toccava con i baffi i ferri dei cavalli
e profetava
e, come un monaco, minacciava per me la
rovina.
Io il mio destino alla sella allacciavo;
io, anche adesso, in epoche future,
come un bambino mi solleverò sulle
staffe.
Sono soddisfatto della mia immortalità,
che il mio sangue scorra di secolo in
secolo.
Per un angolo sicuro di costante calore
io avrei arbitrariamente pagato con la
vita,
qualora il suo mobile ago
non mi avesse, come filo, condotto per
il mondo.
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