giovedì 23 gennaio 2014

Carlo Betocchi


 

 
  
Carlo Betocchi nasce il 23 maggio 1899 a Torino, da padre ferrarese e madre toscana, muore a Bordighera (Imperia) il 25 maggio 1986. Fin da bambino (1906) si trasferisce a Firenze al seguito del padre ferroviere. Studia con Piero Bargellini all'Istituto Tecnico Fiorentino, dove nel 1915 consegue il diploma di agronomo. Frequenta poi la Scuola Ufficiali di Parma, nel 1917 viene inviato al fronte e partecipa alla resistenza sul Piave, quindi nel 1919 va volontario nella guerra di Libia. Al rientro lavora come geometra nelle costruzioni stradali. Negli anni seguenti si sposta in Francia per lavoro e poi in diverse località dell'Italia centro-settentrionale. Dal 1928 al 1938 risiede a Firenze.  Autodidatta, ma coltissimo, comincia a frequentare i circoli letterari toscani. Insieme a Piero Bargellini e Nicola Lisi collabora al “ Calendario dei pensieri e delle pratiche solari” . Il 26 maggio 1929, sempre con Bargellini e Lisi, fu tra i cattolici che dettero vita alla rivista “ Il Frontespizio” , che ospitò gran parte dei poeti così detti ermetici (tra cui Mario Luzi, Carlo Bo, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni, Giancarlo Vigorelli, Alessandro Parronchi, Oreste Macrì), che ricercavano la poesia 'pura', al di là della logicità e del senso temporale, utilizzando fortemente metafore e analogie.  Come poeta segue all'inizio le orme di Papini, ma, lontano da sperimentalismi e neo-avanguardie, Betocchi percorre un cammino personale poetico che lo porta “faccia a faccia con la vita e con i suoi confini”. La partitura poetica, che mostra forse una certa noncuranza formale, nasce da un amore sincero per la realtà ed ha poco o niente in comune con l'ermetismo in voga in quegli anni. Le prime poesie di Betocchi furono pubblicate dalla rivista bolognese “ L'orto ” . Pubblicò poi la raccolta di versi Realtà vince il sogno (1932), cui seguì Altre poesie nel 1939 . Nel 1939 Betocchi lascia Firenze e si trasferisce a Trieste dove gli viene assegnata la cattedra di materie letterarie presso il Conservatorio musicale di Venezia; tornato definitivamente a Firenze nel 1953 insegna con le stesse mansioni presso il Conservatorio Luigi Cherubini e continua a collaborare a varie riviste, tra cui La Chimera , La Fiera Letteraria e L'Approdo Letterario, di cui rimane redattore fino al dicembre del 1977, anno di cessazione della rivista. Sempre nel 1953 veniva chiamato a far parte del Consiglio d'Amministrazione del Gabinetto Vieusseux, in qualità di rappresentante del Comune di Firenze. Tra il 1945 e il 1965 fu redattore del programma radiofonico “ L'Approdo ” che andava in onda dalla Rai di Firenze.  Nella poesia di Betocchi si avvertono talvolta suggestioni pascoliane, il quotidiano è rivestito di significati religiosi e vi traspare una fede di tipo naturalistico, un senso di fratellanza verso tutti gli esseri, nei quali avverte il manifestarsi di una presenza divina. Questo lo porta pian piano ad aprirsi verso tutte le creature “Io non voglio salvarmi solo, deve salvarsi per l'eternità anche quell'albero, anche il cane…”, questa come dice Contini è una sorta di “testimonianza di carità attiva verso il creato”. Il suo è stato definito “un cristianesimo senza Cristo e senza teologia” . Il Poeta sembra essere in attesa di una salvezza, di una vittoria della "realtà" sul "sogno", concetto che già dall'esordio era evocato nel titolo della sua prima raccolta Realtà vince il sogno . Nella sua vasta produzione troviamo sia opere di poesia che di prosa.  
                                                                                                                                                Liberamente tratto  Accademia Alfieri.it
 All’amata

I fior d’oscurità, densi, che odorano
dove tu sei, s’aggirano nell’ombra,
un’altra luce sento che m’inonda
queste pupille che l’ombra violano.

Quale tu sei, non so; forse t’adorano
le cose antiche in me, tutto circonda
te in un giardino dove i sensi all’ombra
tornano ad uno ad uno che ti sfiorano.

L’esser più soli, e l’aggirarsi dove
tu non sei più, od in remota stanza
dentro al mio petto, quando lento piove

l’amor di te che oltre di te s’avanza,
forse sarà per questo il dir d’amore
più dolce dell’amore che ci stanca.


Ciò che occorre è un uomo

Ciò che occorre è un uomo
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in spirito e verità;
non un paese, non le cose
ciò che occorre è un uomo
un passo sicuro e tanto salda
la mano che porge, che tutti
possano afferrarla, e camminare
liberi e salvarsi.

Dal definitivo istante

martedì 21 gennaio 2014

Lord Byron



 
 
E' l'ora

È l'ora in cui s'ode tra i rami
La nota acuta dell'usignolo;

È l'ora in cui i voti degli amanti
Sembrano dolci in ogni parola sussurrata

E i venti miti e le acque vicine
Sono musica all'orecchio solitario.

Lieve rugiada ha bagnato ogni fiore

E in cielo sono spuntate le stelle

E c'è sull'onda un azzurro più profondo

E nei Cieli quella tenebra chiara,
Dolcemente oscura e oscuramente pura,
Che segue al declino del giorno mentre
Sotto la luna il crepuscolo si perde.




Immense Alpi

Sopra di me stanno le Alpi,
i palazzi della Natura, le cui immense pareti
lanciano tra le nubi pinnacoli coperti di neve,
e l'Eternità troneggia nelle caverne gelate
di fredda sublimità, dove si forma e cade
la valanga - la saetta di neve!
E tutto ciò che lo spirito emana
si raccoglie intorno a queste sommità,
per mostrare come la terra
possa toccare il cielo
lasciando in basso l'uomo
con la sua meschina superbia.
 
 
 
 
Vi è un piacere nei boschi inesplorati 
 
Vi è un piacere nei boschi inesplorati
e un'estasi nelle spiagge deserte,
vi è una compagnia che nessuno può turbare
presso il mare profondo,
e una musica nel suo ruggito;
non amo meno l'uomo ma di più la natura
dopo questi colloqui dove fuggo
da quel che sono o prima sono stato
per confondermi con l'universo e lì sentire
ciò che mai posso esprimere
nè del tutto celare.



 
 



giovedì 16 gennaio 2014

Mario Tobino



 
 
Beato chi semplice vive

Beato il contadino,
lui lavora il campo che brilla,
nel cielo che fa festa;
beato il navigante,
lui tranquillo aspetta sulla prua
che il delfino innocente si avvicini.
Beato chi vive come il fiume
secondo che dice natura.
Beato chi semplice vive
felice per un cibo profumato
dopo la fatica del giorno.
Beato l'umile che sorride
per un'altra sera
che gli è dato di vedere,
e la notte immensa l'avvolge
e l'inonda di serena speranza.

mercoledì 8 gennaio 2014

Ingannevoli finzioni


 
 
 
 

Come una pozza d’acqua fangosa
sogno di contenere una briciola
d’immenso cielo azzurro
terso
Fingo di non sapere
che  è solo
un riverbero
tra foglie bagnate e
scivolose

                                                                                                                       Arcangela

martedì 7 gennaio 2014

"Copar la vecia" per lasciarla rinascere fata e portatrice di bene


 

 

Il personaggio della befana ha origini lontane: la sua figura nasce probabilmente nelle  tradizioni agrarie pagane relative all’anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo. Essa rappresenta la conclusione delle festività natalizie come interregno tra la fine dell’anno solare (solstizio invernale, Sol Invictus) e l’inizio dell’anno lunare. Anticamente infatti, la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura. I Romani credevano che in queste dodici notti, figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri. A guidarle secondo alcuni era Diana, dea lunare legata alla vegetazione, secondo altri, una divinità minore chiamata Satia (sazietà) o Abundia (abbondanza). Presto la Chiesa condannò con estremo rigore tali credenze, definendole frutto di influenze sataniche, ma ugualmente da esse ebbero origine molte personificazioni che sfociano nel Medioevo nella nostra Befana, il cui aspetto, benché benevolo, è chiaramente imparentato con la personificazione della strega. L’aspetto da vecchia sarebbe dunque una raffigurazione dell’anno vecchio: una volta concluso, lo si può bruciare così come accadeva (e accade ancora) in molti paesi europei, dove vige la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori, all’inizio dell’anno. In quest’ottica l’uso dei doni assumerebbe un valore propiziatorio per l’anno nuovo. Un’ipotesi è che l’usanza possa essere collegata alla festa romana che si svolgeva all’inizio dell’anno in onore di Giano e di Strenia, durante la quale si scambiavano regali. Nessun regalo invece è contemplato oggi per i bambini che non si sono comportati bene durante l’anno: al posto di dolci e regali, la befana recherà loro solo carbone! Ma perché proprio il carbone? Secondo alcuni studiosi, simboleggerebbe tradizionalmente l’energia presente nel ventre della  Terra, il fuoco nascosto, pronto a rivivere, acceso dal primo sole primaverile. Legata a questo significato la tradizione celtica di scendere per le strade, allo scoccare della mezzanotte che inaugurava il nuovo anno, donandosi pezzi di carbone. Si potrebbe quindi dedurre che la simbologia del carbone, associata all’arrivo del nuovo anno, sia una reminiscenza Celtica, poi cristianizzata in chiave strettamente morale. L’uso del carbone ha infatti oggi assunto tutt’altra simbologia: diviene immagine del peccato che annerisce l’anima, esso vuol essere un castigo e un monito, che ha una funzione educativa per l’infanzia e che attribuirebbe alla Befana un ruolo marcatamente punitivo, originariamente del tutto estraneo alla sua figura. La Befana nulla aveva infatti a che vedere con l’odierno significato religioso; intimamente legata ai cicli della vita agreste, la sua più plausibile origine è rintracciabile nella personificazione di Madre Natura, che, lungi dalla funzione moralizzante e punitiva, giunta alla fine dell’anno invecchiata e avvizzita, offre in regalo i semi da cui lei rinascerà bambina.

                                                                                                              Liberamente tratto da Leonardo.it

lunedì 6 gennaio 2014

4° Poetry slam Sangemini : foto



Organizzato dalla Bcsg Biblioteca San Gemini, il 3 Gennaio si è svolto presso la sala multimediale  Santa Maria Maddalena, il 4° Poetry slam. Una gara tra  gli oltre quindici autori partecipanti, Bella, Convincente, Sorprendente e soprattutto Giovane.

 

 
 

Secondo da sinistra il vincitore Alessandro Labianca
 
  
 Primo da sinistra, il secondo classificato Giovanni Tasca
 

                                                                                       


giovedì 2 gennaio 2014

Il primo gennaio di Eugenio Montale


So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.



martedì 31 dicembre 2013

Alcune foto della Sacra rappresentazione natività nostro Signore

Annunciazione
 
Giuseppe ascolta l'Arcangelo 

    Tentazione di Cefas a Giuseppe


                                                              Maria ed Elisabetta
 
Gli sposi 
 
 
 
Faber 
 
 
DOPO LO SPETTACOLO
 
     L'autore e regista Giulio Biancifiori
 
                                                                                             
                                                                                    
L'assessore alla Cultura Mimma Trotti e Francesca Giurleo



Ringraziamo l'Ing. Giorgio Mattioli che con le sue belle foto,
ha reso   possibile questo post.

venerdì 20 dicembre 2013

Un Babbo Natale carico di ... iniziative.

Il Natale con "La Fucina delle Parole"

Sacra rappresentazione natività nostro Signore
 Domenica 22.12 ore 21,30 Chiesa di San Francesco, Sangemini 
Natale: armoniose essenze     
 Sabato 28.12 ore 21,30      Chiesa di San Francesco, Sangemini                           






Per apprezzare ancor più l'appuntamento del 22 dicembre, riteniamo utile , ripercorrere la storia sulle Sacre Rappresentazioni, ben sintetizzata per questo blog, dalla Prof. Francesca Giurleo

La Sacra Rappresentazione nata verso il X – XI secolo, è un dramma sacro di argomento religioso che costituisce la manifestazione spirituale più originale in quel periodo medievale in cui la Chiesa aveva il ruolo centrale di guida dei popoli; si diffuse dunque in tutta Europa e diventò col tempo strumento di poesia per figure di intellettuali che la portarono ben presto ad affermarsi nell’ambito della letteratura sacra e drammatica.
Il dramma sacro costituì un modo per avvicinare le genti ai misteri della religione e la recitazione ben si adattava a far rivivere le storie di Cristo e dei Santi; era  espressa attraverso il mimo e si recitava sulle piazze e sui sacrati delle chiese soprattutto in occasione di particolari festività religiose,  quali Natale , Pasqua, l’Ascensione, l’Assunzione, quando gli animi venivano coinvolti e presi dalla pietas cristiana alla ricerca della consolazione di Dio, col desiderio di stare  accanto a Lui nel suo dolore per il peccato del mondo.
Presto la recitazione portò sulla scena anche le vite dei Santi, allo scopo di commemorare figure scelte a quell’atteggiamento di delicatezza verso il prossimo, convinti della bontà e del disegno divino.
La rappresentazione si svolgeva sotto forma di dialogo fra attori-giullari che provenivano dal contesto popolano, ben presto però finirono col parteciparvi tutte le classi sociali;  verso il XV secolo prevalsero i membri delle Confraternite e poi nacquero gli attori di professione.
Il linguaggio era il “volgare”, la lingua di tutti, che si mescolava ad alcuni termini di lingua latina; in Francia la rappresentazione sacra si chiamò “jeu”, in Italia “lauda”, che si sviluppò proprio in Umbria e che prevedeva la lettura di “salmi” e “tropi”, questi ultimi erano interpolazioni letterarie musicali effettuate nella parte cantata della Messa.
La lauda era dunque recitata e cantata e la sua fortuna si deve soprattutto alla Confraternita dei Disciplinati che componevano gli inni che poi interpretavano.
Trasmessa dapprima solo oralmente, le laude furono poi affidate a compilazioni scritte e Jacopone da Todi è certamente la personalità più rilevante della letteratura anteriore a Dante.
 
 
Ringraziamo il Comune di Sangemini ed in particolare l'Assessore alla Cultura Mimma Trotti per  la sensibilità, l'impegno  ed il dinamismo  profusi nella realizzazione del ricco calendario di eventi.
 
Venite vi aspettiamo.

venerdì 6 dicembre 2013

Radici

 

Radici

Le radici sono nate...
Si sono incastrate bene nel terreno
e sarà difficile toglierle.
No... Dico sciocchezze!
Sarà impossibile sdradicarle.
Sono radici che dureranno nel tempo,
oltrepasseranno gli ostacoli
per sempre intatte,
senza nessuna ferita.
Radici eterne.
Radici che solo chi vede in fondo alle cose
potrà percepire.
Solo chi vede in fondo alle cose
 

 Di Kasumi Suzumura

 

 

 

 

 


Addio, Nelson Mandela


 
Addio e un incommensurabile grazie per la tua luce e per tutto ciò che
 con essa hai fatto per l’umanità intera.
 
“… E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.”
 
da Meditazione di Nelson Mandela


giovedì 5 dicembre 2013

Christina Georgina Rossetti



MEMENTO MORI

Che miseria il piacere: non egregio,
ma angusto privilegio,
per quanto dolce, breve
come la foglia che cadere deve.
E' gioia che non dura,
limitata misura.
Che delizia il dolore, quando sai
che domani te ne libererai.
Per quanto freddo e oscuro,
ti lascerà in futuro.
Che gusto quel dolore
che l'indomani muore.


MIRAGGIO

La speranza che ho sognato era un sogno,
soltanto un sogno, mi risveglio ora,
sconfortata, esausta e vecchia,
per un sogno.

Appendo la mia arpa a un albero,
un salice piangente in un lago:
lì appendo l’arpa ammutolita, logora e spaccata,
per un sogno.

Sta’ quieto, sta’ quieto, cuore infranto,
cuore silenzioso, stai quieto e spezzati:
la vita e il mondo sono cambiati, ed io stessa,
per un sogno.



UN' ALTRA PRIMAVERA

Se mai vedrò un'altra primavera
non aspetterò i fiori dell'estate:
avrò subito il croco,
il mezereo rosso senza foglie,
i bucaneve venati di gelo e, raffinatezza estrema,
le violette bianche o azzurre,
la primula annidata tra le foglie:
tutto quanto sboccia subito, non tardi.
Se mai vedrò un'altra primavera
ascolterò gli uccelli diurni
che fanno il nido, cantano e si accoppiano,
non aspetterò l'usignolo solitario.
Ascolterò le greggi feconde,
le pecore con i bianchi agnelli,
saprò riconoscere la musica nella grandine
e in ogni vento che soffia.


Se mai vedrò un'altra primavera
pungente commento al mio passato
tutto ridotto a un "se" -
se mai vedrò un'altra primavera
riderò oggi, l'oggi è così breve,
nulla aspetterò:
userò l'oggi che non può durare
sarò contenta oggi e canterò.


Christina Georgina Rossetti


"Chi ha mai visto il vento?
Né io né te. Ma quando gli alberi chinano le loro teste, Il vento li ha attraversati.
"
 
Christina Georgina Rossetti nacque al numero 38 di Charlotte Street (adesso il 105 di Hallam Street) a Londra il 5 dicembre 1830, dopo Dante Gabriel, William Michael e Maria Francesca. I quattro fratelli Rossetti, di cui Christina era e rimase fino alla sua morte la "piccina di casa", erano figli di una coppia formidabile. Il padre, Gabriele Rossetti, era un rifugiato politico italiano (più precisamente era originario di Vasto, in Abruzzo) e la madre, Frances Polidori, era la sorella del leggendario medico ed intimo amico di Lord Byron, John William Polidori. I due coniugi formavano pur nella loro diversità una coppia solida, unita, come loro stessi affermavano, da un destino ostinato ed ineluttabile. La famiglia si sosteneva grazie allo stipendio da professore di Gabriele e dalle traduzioni e dai saggi che entrambi i coniugi riuscivano talvolta a pubblicare, ed affiancando a questa già febbrile attività anche qualche lezione privata.
La loro casa, sempre aperta agli studiosi, ai rivoluzionari, agli artisti, era un vero e proprio crogiolo di cultura, e Christina imparò a raccontare storie ancora prima di sapere parlare bene o scrivere. Come era in uso a quel tempo fu educata in casa dalla madre, ed i libri dai quali apprendere erano i classici, le tematiche religiose, fiabe, leggende e letteratura in generale. Christina amava in particolare Keats e Scott così come i maestri del gotico come la Radcliffe e Lewis. Il perfetto italiano, lingua che li legava al padre e che anche dopo la morte di questi rimase il  "lessico familiare" e l'influenza di personalità come Dante Alighieri, Francesco Petrarca, e la poesia italiana rinascimentale, influenzo fortemente quattro figli come testimonierà, in seguito, la nascita della Confraternita Preraffaellita. La piccola 'Stina (così veniva chiamata da chi le era vicino) crebbe felice in mezzo a tanta cultura, vezzeggiata e coccolata dal padre e dai fratelli, di cui era la prediletta. Intorno al 1840 la famiglia versava tuttavia in grosse difficoltà economiche dovute al peggioramento della salute fisica e mentale di Gabriele. Al resto della famiglia non rimase che di osservare attonita il declino di un padre ed uomo amatissimo e trovare un modo di sbarcare il lunario. La madre continuò, seppur solo privatamente a causa delle limitazioni dell'epoca, il lavoro del marito, continuando a tenere la casa sempre aperta ed offrendo lezioni private lottando strenuamente per tenere la sua famiglia al di fuori della povertà. La sorella maggiore, Maria, accettò di lavorare come governante, lasciando la casa, e il fratello William aveva un posto da impiegato presso il corrispondente ottocentesco dell'Ufficio delle Entrate. Riuscirono così a mantenere Gabriel presso una scuola d'arte. Christina cominciò ad andare a scuola ma i suoi giorni, senza i fratelli e con il padre malato, divennero sempre più solitari e tristi. A 14 anni Christina soffrì di una severa crisi nervosa che fu seguita dalla depressione. Dante Gabriel cercava di alleviare la sua solitudine marinando spesso la scuola e usando la sorella come prima musa ispiratrice del suo neonato movimento artistico. Nel 1848 nasce infatti la Confraternita dei Preraffaelliti, fondata da  William Holman HuntJohn Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti. Ai tre fondatori si aggiunsero presto William Michael RossettiJames CollinsonFrederic George Stephens and Thomas Woolner a formare i primi "sette fratelli". La confraternita aveva sia intenti artistici che esoterici e culturali portando all'attenzione il concetto di purezza, e vedrà anche la nascita di una "sorellanza" parallela, a cui aderiscono entrambe le sorelle Rossetti. Christina posa più volte a rappresentare la vergine Maria e due dei più famosi quadri che dettero inizio al movimento la rappresentano proprio in questo ruolo, che fu, nel cuore di Gabriel, soltanto suo. Proprio nel quadro "L'infanzia di Maria" in cui 'Stina posa, compare per la prima volta il marchio PRB che indica la confraternita. Nel 1849 Christina è di nuovo seriamente malata e per un lungo periodo rimane nell'ombra, ciò non le impedisce di pubblicare, a soli 18 anni, le sue prime due poesie sulla rivista Atheneaum ("Death's Chill Between" e "Heart's Chill Between") e scrive collabora in pianta stabile, sotto lo pseudonimo di Ellen Alleyne, alla rivista preraffaellita The Germ, pubblicata dal fratello William. 
Christina Rossetti iniziò a scrivere molto presto, ma solo all'età di 31 anni vide un pò di successo (e di guadagno) con la sua prima raccolta di poesie, Goblin Market and Other Poems (1862). L'opera ottenne una critica molto favorevole e Christina venne salutata come la naturale erede di Elizabeth Barrett Browning nel ruolo di female laureate. Il titolo che dà il nome alla raccolta è il lavoro più famoso di Christina Rossetti, e nonostante a prima vista sembri semplicemente una filastrocca sulle disavventure di due sorelle in mezzo agli gnomi (goblins), la poesia è complessa e ha diversi livelli di lettura. La critica l'ha interpretata in modi molto diversi: vi ha visto un'allegoria sulla tentazione e la redenzione, un commento sui ruoli sessuali nell'epoca vittoriana, e la tematizzazione del desiderio erotico e la redenzione sociale. Nel 1847 aveva già sperimentato diversi modi di scrivere, dal sonetto, all'inno, alle ballate, ma scrive anche fiabe e riscrive e narra la vita di alcuni santi. Le sue prime opere hanno una fortissima spinta romantica, con delicate trattazioni riguardanti la caducità della vita e la morte.
Christina Rossetti continuò a scrivere e pubblicare per il resto della sua vita e si concentrò soprattutto sulla poesia devozionale e per bambini. Tuttavia le cose più interessanti che ha scritto sono poesie d'amore. Non si tratta di fantasie o di petrarchismo cortese: nascono da storie d'amore dolorosamente vissute e da sprazzi di lucidità che trasformano il dolore in un sentimento leggero e giocoso. La famosa When I am dead, my dearest esprime tutta la sua insicurezza: Christina non è sicura del proprio amore quanto non è sicura dell'amore dell'amato, il quale dunque non viene caricato di doveri, che del resto neppure lei potrebbe sopportare.
I quattro fratelli Rossetti non si separarono mai, nonostante le turbolenze delle loro vite ed il fatto che sia William che Gabriel ebbero delle mogli ed amanti (di Gabriel conosciamo tutti la infelice Elizabeth Siddal) mentre Maria continuava a fare la governante. Christina mantenne sempre una grande cerchia di amici,studenti e corrispondenti e per dieci anni lavorò come volontaria in una casa di accoglienza per "donne perdute" (prostitute) la Santa Maria Maddalena di Highgate, insieme all'altra sorella zitella, Maria. Entrambe studiavano, scrivevano, insegnavano e mantenevano una mentalità indipendente ed aperta. In più rifiutavano la guerra, la schiavitù, la crudeltà contro gli animali, lo sfruttamento sessuale delle minorenni e ogni forma di aggressione militare. In età matura Christina soffrì di morbo di Graves, che la portò quasi alla morte nel 1872. Sopravvisse, ma nel 1893 cominciò la sua battaglia contro il cancro al seno che la sconfisse nonostante un intervento chirurgico. Christina Georgina Rossetti muore il 29 Dicembre 1894 e riposa al cimitero di Highgate, accanto ai genitori ed ai fratelli.


                                                                                                                         Liberamente  tratto da The Hungry wol

mercoledì 4 dicembre 2013

Morti per acqua: terra desolata (parafrasando T.S.Eliot) Le foto.

                                                        I  declamatori



     Il Maestro Emanuele Grigioni
     con la Corale Casventum


                                                 Durante alcune letture

Il nostro ringraziamento a tutti coloro che sono stati presenti e un grazie particolare al Maestro Grigioni e il suo coro, a Paola Barletta fine dicitrice e brava attrice, al tecnico Fabio Tomaselli ed al Dott. Emilio Coletti che ha reso possibile questo post, con le foto che ha scattato per noi.
Affinché  le parole germoglino.

Trilussa







 Er congresso de li cavalli

Un giorno li Cavalli,
stufi de fa' er Servizzio,
tennero un gran comizzio de protesta.
Prima parlò er Cavallo d'un caretto:
Compagni! Se vi séte messi in testa
de mijorà la classe,
bisogna arivortasse a li padroni.
Finora semo stati troppo boni
sotto le stanghe de la borghesia!
Famo un complotto! Questo qui è er momento
d'arubbaje la mano e fasse sotto!
Morte ar cocchiere! Evviva l'anarchia!
Colleghi, annate piano:
strillò un Polledro giovene
d'un principe romano
ché se scoppiasse la rivoluzione
io resterebbe in mezzo a un vicoletto
perché m'ammazzerebbero er padrone.
Io direbbe piuttosto,
de presentà un proggetto ne la quale...
Odia micchi, gras tibbi, è naturale!
disse un Morello che da ventun'anno
stracinava el landò d'un cardinale.
Ma se ce fusse un po' de religgione
e Sant'Antonio nostro c'esaudisse...
L'Omo, che intese, disse: Va benone!
Fintanto che 'sti poveri Cavalli
vanno così d'accordo
io faccio er sordo e seguito a frustalli!

martedì 26 novembre 2013

Invito

 

“… Una volta che si è stesa una coperta di sabbia e di cenere su migliaia di corpi anonimi, si coltiva l’oblio. E’ allora che la poesia si solleva. Per necessità. Diventa parola urgente nel disordine in cui la dignità dell’essere viene calpestata.”
Tahar Ben Jelloun
 
 
 
 
 
 
 


William Blake


Eternità
Chi lega a sé una Gioia
Distrugge la vita alata;
Ma chi bacia la Goia in volo
Vive nell'alba dell'Eternità.

  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Anna de Noailles


 
STAVO ZITTA


Stavo zitta, avevo fatto voto
di non rimproverarti mai
il tuo spirito squadrato, vuoto, negato
a ogni slancio, a ogni sfogo;
ma questa sera che il cielo d'autunno
sfoglia un sole struggente,
lascia che la mia voce si abbandoni
a tradire i segreti del sangue:
- Lo sai tu, caro cuore senza dolcezza,
cara anima insensibile e ostinata,
in questo giorno che io ti confesso
la mia nativa e fiera tristezza,
quante volte mi sono ammazzata?
 
                                                        Anna de Noailles

mercoledì 20 novembre 2013

Semi d'autunno



 
 
 
 
 
Ogni seme che l’autunno getta nelle profondità della terra
ha un modo suo proprio di separare nucleo e involucro
al fine di formare le foglie, i fiori e i frutti.
Ma quali che siano i modi,
lo scopo delle peregrinazioni di tutti i semi è identico:
arrivare a levarsi innanzi al volto del sole.
Kahlil Gibran



Fotogrammi da una passeggiata ai Prati di Stroncone