giovedì 6 novembre 2014

Ode alla melagrana.






È la melagrana profumata
un cielo cristallizzato.
(Ogni grana è una stella
ogni velo è un tramonto.)
Cielo secco e compresso
dalle unghie del tempo.
La melagrana è come un seno
vecchio di pergamena,
e il capezzolo si è fatto stella
per illuminare il campo
È un’arnia minuscola
col favo insanguinato,
e le api l’hanno formata
con bocche di donne.
Per questo scoppiando ride
con porpore di mille labbra…
La melagrana è un cuore
che batte sul seminato,
un cuore sdegnoso
dove non beccano gli uccelli,
un cuore che fuori
è duro come il cuore umano
ma dà a chi lo trafigge
odore e sangue di maggio.
La melagrana è il tesoro
del vecchio gnomo del prato,
quello che parlò con la piccola Rosa,
nel bosco solitario.
Quello con la barba bianca
e il vestito rosso.
È il tesoro che ancora conservano
le verdi foglie dell’albero.
Arca di pietre preziose
in visceri di oro vago.
La spiga è il pane. È Cristo
in vita e morte rappreso.
L’olivo è la costanza
della forza e del lavoro.
La mela è il frutto carnale,
sfinge del peccato,
goccia di secoli che tiene
i contatti con Satana.
L’arancio è la tristezza
delle corolle profanate,
così diventa fuoco e oro
ciò che prima era puro e bianco.
Le viti sono la lussuria
che si coagula nell’estate,
e da esse la chiesa ricava,
benedetto, il santo liquore.
Le castagne sono la pace
del focolare. Cose d’altri tempi.
Crepitare di vecchi legni,
pellegrini smarriti.
La ghianda è la serena
poesia del passato,
e il cotogno d’oro debole
la pulizia della salute.
Ma la melagrana è il sangue,
sangue sacro del cielo,
sangue di terra ferita
dall’ago del torrente.
Sangue del vento che viene
dal rude monte graffiato.
Sangue del mare tranquillo,
sangue del lago dormiente.
La melagrana è la preistoria
del sangue che portiamo,
l’idea di sangue, chiuso
in globuli duri e acidi,
che ha una vaga forma
di cuore e di cranio.
O melagrana aperta, tu sei
una fiamma sopra l’albero,
sorella carnale di Venere,
riso dell’orto ventoso.
Ti circondano le farfalle
credendoti un sole fermo
e per paura di bruciarsi
ti sfuggono i vermi.
Perché sei la luce della vita,
femmina dei frutti. Chiara
stella della foresta
del ruscello innamorato.
Potessi essere come sei tu, frutto,
passione sulla campagna! 

                    
Federico Garcia Lorca ,    Canzone orientale         
dal  Libro de poemas, 1921

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