lunedì 25 febbraio 2013

Carlo Goldoni



«Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne.[…] Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura».(Mirandolina, da LA LOCANDIERA, atto primo)
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Carlo Goldoni, nei suoi Mémoires, ci lascia un’immagine di sé sorridente e pacata. Ma, dietro questa immagine bonaria, si nascondono in realtà un temperamento inquieto e malinconico e un uomo determinato e di saldi principi («Ero alla corte, ma non ero cortigiano», scrive nei Mémoires, III XII). Uomo pratico ed esperto, Goldoni non sottovalutava mai le esigenze di impresari, pubblico e attori, adattando di volta in volta i propri testi. Però, con garbata ironia e consapevole determinazione, Goldoni fu in grado di riformare il teatro, liberandolo dalle figure stereotipate (le maschere) della Commedia dell’Arte. Gli attori, infatti, erano soliti improvvisare le battute, facendosi guidare da un canovaccio e attingendo a un repertorio di motti e di espressioni comiche tradizionali. Goldoni si batteva invece per un teatro fondato su testi scritti per intero, che arginassero gli eccessi e le volgarità ai quali gli attori troppo spesso si lasciavano andare. La prima commedia che non lascia spazio a improvvisazione è La donna di garbo, del 1743. I suoi personaggi, e soprattutto le donne (La locandiera, La trilogia della villeggiatura), acquistano una fisionomia e una psicologia propria, individuale. Anche la lingua ,diventa più duttile, popolare e mimetica. Molte commedie, poi, (come Il campiello o Le baruffe chiozzotte) sono composte in veneziano, che è, nelle parole dell’autore, «senza dubbio il più dolce e il più piacevole di tutti i dialetti d’Italia» (Mémoires, II 2). Goldoni mise in scena soprattutto l’universo borghese, che è «un rango civile non nobile e non ricco; poiché i nobili e ricchi sono autorizzati dal grado e dalla fortuna a fare qualche cosa di più degli altri. L’ambizione de’ piccioli vuol figurare coi grandi, e questo è il ridicolo ch’io ho cercato di porre in veduta, per correggerlo, se fia possibile» (prefazione Al Lettore della commedia Le smanie per la villeggiatura). Ma non vi è una denuncia del vecchio mondo né l’annuncio di uno nuovo: il commediografo veneziano sostituisce la maschere con personaggi veri che abbiano una qualche attinenza con la vita quotidiana, restituendo dignità letteraria anche a figure borghesi e popolari.


Liberamente tratto da Treccani.it

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