martedì 22 luglio 2014

Bianca Garufi


Nasce a Roma da una famiglia aristocratica siciliana. La mamma Giuseppina Melita, donna di forte temperamento e refrattaria a regole precostituite, unica sopravvissuta della sua numerosa e ricca famiglia dal terremoto che colpì Messina nel 1908, ebbe sulla giovane scrittrice una marcata influenza sia a livello caratteriale - come riconosce già in Romanzo Postumo "più mi ribellavo, più le somigliavo" - sia culturale, diventando una delle più importanti psicoanaliste junghiane dell'ultimo scorcio di secolo. Vive gli anni dell'infanzia in collegio a Roma e le lunghe vacanze estive a Letojanni vicino Taormina e Siracusa.
Da quest'amore per la Sicilia e i suoi abitanti, nasce anche un forte attaccamento alle loro tradizioni e spesso nei romanzi della Garufi ci sono descrizioni così minuziose che fanno ben intendere una conoscenza diretta di tutti gli usi e costumi di questa popolazione, come si può notare in due suoi libri Fuoco Grande (1959) e Il Fossile (1962).
Durante la seconda guerra mondiale, Bianca Garufi è a Roma e partecipa alla Resistenza accanto a Fabrizio Onofri, figura carismatica e storica del Partito comunista italiano e considerato, fino al 1956 dopo l'uscita dal partito per i fatti d'Ungheria, il successore di Palmiro Togliatti. Si ritrovano assieme ad altri "ribelli" in una bottega a Ponte Milvio, il quartier generale dove si erano organizzati per poter portare aiuto a quelli che in quel momento si trovavano in difficoltà e perseguitati. Ma l'aiuto, pur sostenuto da un ideale politico quale il marxismo, veniva dato, soprattutto dalla Garufi, non tanto per una sua militante azione politica e nemmeno per il potere, ma per pura umanità. La Garufi infatti era una donna riservata che non amava mettersi in evidenza e, come dice parlando di se stessa, "Je suis infâme au public".
Dal 1944 al 1958 Bianca Garufi lavora per Einaudi nella sede romana, in via degli Uffici del Vicario, come segretaria generale. Qui conosce Cesare Pavese, che all'epoca era consulente per la stessa casa editrice. Questo periodo di confronto è affrontato con grande entusiasmo, considerando anche il momento fine guerra e inizio ricostruzione post bellica, e con gran voglia d'apertura verso argomenti che a Pavese risultavano un po' ostici e sconosciuti. Del gruppo faceva parte ancheNatalia Ginzburg, e insieme si trovavano spesso a cena a parlare di letteratura. Inizia così un sodalizio spinto soprattutto dalla curiosità di Cesare Pavese sia per lapsicoanalisi, materia che la Garufi aveva iniziato a studiare, sia l'interesse di entrambi per i miti greci, dei quali la psicologia di stampo junghiano si occupava spesso. Questa affinità d'interessi e un amore non corrisposto porteranno Pavese a scrivere i Dialoghi con Leucò [1], nel quale con una dedica e data, novembre 1947[2]consacra un amore infelice ad una donna forte fatta di terra e di mare che vanamente aveva sempre cercato. In questo periodo le dedica anche un ciclo di poesieLa terra e la morte edite in seguito da Einaudi.
Nasce dal loro sodalizio anche il romanzo (scritto a quattro mani) Fuoco grande, che sarà pubblicato, firmato da entrambi, nel 1959, ossia nove anni dopo la morte dello scrittore. Pur essendo affini culturalmente, i due avevano caratteri assai diversi. Bianca Garufi esternava sempre i suoi sentimenti, anche i più dolorosi, attraverso l'analisi di se stessa come si può intuire anche dalle lettere che scriveva a Cesare Pavese; mentre questi, un po' per ignoranza un po' per paura verso le pratiche analitiche che scavano nell'anima, temeva un blocco nella creatività, contrariamente all'amata, che sosteneva che liberandosi dei turbamenti dell'anima si è più creativi e limpidi. Nonostante queste sostanziali diversità, Pavese ebbe grande ascendente sulla scrittura della Garufi, severo, rigoroso e attento allapunteggiatura in modo quasi maniacale, fecondo di consigli, come quando le ripeteva "Pietra che rotola non raccoglie muschio", nel senso che non bisognava farsi distrarre da innumerevoli interessi ma focalizzarsi sullo scrivere e sul modo come si scrive.
Nel 1951 si laurea con la tesi di laurea, la prima discussa in Italia su Carl Gustav Jung, dal titolo Struttura e dinamica della personalità nella psicologia di C. G. Jung, con il professor Galvano Della Volpe. All'inizio degli anni sessanta si trasferisce in Francia e, nel 1962 pubblica perEinaudi Il fossile. Continua ad occuparsi di psicologia, senza però prendere parte attiva al circolo junghiano francese. Conosce Pierre Denivelle, impiegato di Olivetti, che sposerà; il lavoro del marito costringerà la Garufi a continui spostamenti in giro per il mondo. Nel 1968 la casa editrice Longanesi pubblica Rosa Cardinale, altro romanzo a forte connotazione psicologica, tutto giocato sul dualismo che anima la protagonista. La Garufi non si riconoscerà completamente nel romanzo, in cui si trovano tuttavia forti note autobiografie: basti confrontarne la trama alle lettere scritte da Pavese nel 1946.
Nel 1970 e per tre anni istituisce a Hong Kong, dove momentaneamente si era trasferita, il lettorato di lingua e cultura italiana presso l'Università Cinese.
Pur continuando a svolgere l'attività di traduttrice (tra gli altri Claude Levi-Strauss e Simone de Beauvoir), si dedica appassionatamente alla professione di psicoterapeuta junghiana, diventa vice presidente dell'Associazione Internazionale di Psicologia Analitica e membro attivo come didatta dell'Associazione Italiana di Psicologia Analitica.
Nel 1974 è a Roma, dove scrive una pièce sulla condizione della donna, intitolata Femminazione. Presentato alla Rai, questo lavoro mette in evidenza la condizione della donna e la sua emancipazione, sempre legate alla psicologia. In un articolo pubblicato nel 1977 sulla "Rivista di Psicologia Analitica" dal titolo Sul preconcetto dell'inferiorità della donna, Bianca Garufi affronta un tema a lei molto caro. L'interpretazione dell'universo femminile dal punto di vista della psicoanalisi e della psicologia analitica, d'altra parte, aveva già marcato la raccolta di poesie pubblicata nel 1965.
Nel 1980 partecipa a un congresso sulla moda e il rapporto con la psiche umana a San Francisco. Nella sua conferenza espone il tema del senso d'affetto per il mondo e per il corpo che ci rappresenta, perché, come spiega: "abbiamo solo questo per esistere e rappresentarci quindi deve essere per forza, attraverso la moda, lo specchio del nostro io". Vanni Scheiwiller nel 1992 pubblica una raccolta della sua produzione poetica, dal 1938 al 1991, ristampata nel 2004.
Nell'ultimo periodo della sua vita continua come aveva sempre fatto con grande lucidità analitica a scrivere di psicologia del profondo, per le più prestigiose riviste specialistiche: la "Rivista di Psicologia Analitica", il "Jounal of Analytical Psychology", "Spring" e "Anima". Muore a Roma il 26 maggio 2006.

***

 A noi piace ricordarla sia con una sua poesia sia citando le sue stesse parole tratte dall’ intervista di Marino Parodi novembre 2005 (club 3 come siamo come eravamo), che le chiedeva   a conclusione della stessa , un consiglio su come vivere meglio “gli anni d’oro”
“… A mio parere, il segreto è uno solo per tutte le stagioni dell’esistenza e sta in due scelte di fondo: scoprire l’anima e vivere la propria creatività.
Per vivere la propria creatività, nella famiglia come nel lavoro e nel tempo libero, esistono migliaia di strade: un po’ ci conosciamo, quindi non ci sarà difficile individuarle, sulla base di ciò che ci attira e ci appassiona. Scoprire l’anima significa imparare a dire “sì” alla vita, accettare ogni evento nella consapevolezza che ciò che ci fa soffrire è in definitiva una lezione da imparare e che la vita ci toglie qualcosa soltanto per restituirci molto di più,"



Legna che accende
e si accende e che
riscalda e brucia
e si riaccende e che non
smette di bruciare
riaccendersi per esaurirsi
e per ricominciare ancora
non la tua vita ma la
vita
permanenza universale che
non ha senso che non 
ha inizio né fine né altro
scopo che la vita
qui su questa strada
d'asfalto con le sue
due dighe gialle ai lati
o laggiù in fondo al mare
o in alto sulla collina in 
cima all'abetaia
Dove
non ha importanza e quando
è solo una
metafora perlacea
con cui
riempi i giorni le notti
l'andirivieni della 
tua esistenza
dell'esistenza
così come la concepisci tu
e anche come tu non puoi neanche
concepirla
avulsa
dallo spazio e dal tempo
la tua inesistenza
l'inesistenza.

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