martedì 18 giugno 2013

Luisa Giaconi

 

Nacque a Firenze nel 1870 da Carlo e da Emma Guarducci. Di famiglia di origini nobili, ma non ricca, ebbe un'infanzia disagiata, costellata di rinunce e privazioni. Dopo una prima educazione ricevuta presso un istituto fiorentino, abbandonò la città natale a seguito degli spostamenti in molte zone dell'Italia centrale del padre, professore di matematica negli istituti tecnici. Dopo la morte di questo la G. poté rientrare a Firenze e terminarvi gli studi conseguendo il diploma dell'Accademia di belle arti. La sua principale attività lavorativa, che le permise di condurre una vita dignitosa, anche se modesta, fu quella di copista di quadri famosi presso i musei e le gallerie fiorentine dove trascorreva le sue "taciturne giornate" (così definite da uno degli amici più devoti, Angiolo Orvieto) nella contemplazione dei pittori antichi: attraverso l'ammirazione rispettosa ed entusiasta dei capolavori dell'arte e della cultura mondiale, si andava affinando la sua anima di poetessa e pittrice sensibile e inquieta. Indicata da più voci come pittrice di mediocre spessore, fu nella sua produzione poetica (pubblicata in maniera discontinua dalla rivista letteraria fiorentina Il Marzocco) che la G. raggiunse l'apice della propria sensibilità artistica e della propria creatività. La G. per prima ebbe a dire che la sua formazione letteraria era stata insufficiente: tuttavia, nelle sue composizioni poetiche sono evidenti gli insegnamenti delle scuole parnassiane e simboliste francesi e dei preraffaelliti inglesi, che aveva imparato ad amare e apprezzare grazie soprattutto alla frequentazione dei salotti di alcune famiglie inglesi stabilitesi da tempo nel capoluogo toscano. La sua poesia, pur non ricorrendo mai ai toni troppo forti e risolvendosi anzi in occasioni di intima e privata riflessione, si legava in maniera esemplare e definitiva al lirismo pascoliano e dannunziano. Assai vicina agli intellettuali del Marzocco (Orvieto, G.S. Gargano ed E. Nencioni, del quale si definì sempre allieva), la G. risentì sicuramente della teoria estetica di matrice schopenhaueriana che poneva in primo piano e dava gran risalto al rapporto tra pittura, poesia e musica. L'amore per i metri classici e la riproposta che ne aveva offerto G. Carducci la condussero, inoltre, a curare particolarmente l'assetto metrico e l'aspetto lessicale delle sue composizioni, senza tuttavia mai riuscire a raggiungere la perfezione formale. Colpita in età giovanissima da una grave malattia, la G. morì a Fiesole il 18 luglio 1908. L'anno successivo alla morte le sue poesie furono riunite in volume a cura di G.S. Gargano nella raccolta intitolata Tebaide, pubblicata a Bologna da Zanichelli; nel 1912, sempre presso Zanichelli, fu approntata una seconda edizione con una più ampia e puntuale introduzione storico-critica dello stesso Gargano.

                                                                                                                      Liberamente tratto da Treccani.it

 

Il vento

Qualcuno spinge la mia porta, l'agita violento;
qualcuno piange con dei lunghi gemiti stasera,
uno che corse sibilando per la notte nera...
E' il vento che si leva, è il vento.

Egli ha la voce delle turbe pazze di spavento,
egli ha lo scroscio degli oceani, l'ansar delle selve,
e par che aspetti con un lungo bramito di belve...
E' il vento che si lagna, è il vento,

Ora, dopo un mormorìo stanco di sistri d'argento
sosta, come chi troppo, troppo lungamente pianse,
come nell'ansia d'una prece che un singhiozzo franse...
E' il vento che riposa, è il vento.

Invano sotto al fioco lume che fiammeggia lento
io schiusi il libro che i momenti deserti consola,
invano io tesi anima e sensi a un'altra parola...
E' il vento che mi chiama, è il vento.

Nell'ombra, che come un oceano mi circonda, sento
che passa e passa senza fine un'ignota pesta,
un soffio sveglia ora la mia lunga tosse funesta...
E' il vento che cammina, è il vento.

Ecco, e alla fine con più fieri gemiti irruento
egli spalanca la mia porta ch'io gli opposi dura;
s'odon misteriosi schianti per la casa oscura...
E' il vento che mi cerca, è il vento.

Ei volta al libro le profonde pagine violento,
le straccia come in una vana ansia della fine,
e abbassa e spegne la tremante lampada alla fine...
E' il vento che c'incalza, è il vento.
 
 
L’alba misteriosa
 
S’apre una pagina d’ambra
nel cielo, all’orlo del monte;
fioca sul nero orizzonte
l’ultima stella sparì.
E già per l’erto pineto
brucando il gregge si sperde,
piccoli punti fra il verde,
fiocchi di bianco qua e là…
Fremiti di fogli e d’acque
par che si sveglino a pena,
via via la luce s’insena
lenta nel bosco là giù.
L’ombra riprese i fantasmi
e riaccostò le sue porte;
di là, il silenzio, la morte,
il giorno dolce di qua;
il giorno, ch’e’ fra due notti,
come la vita nel nulla
che nel mistero ci culla;
un sogno anch’esso e non più.
 
 

 

 
 



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