mercoledì 20 marzo 2013

Friedrich Hölderlin



 

 (Lauffen sul Neckar, Württemberg, 1770 - Tubinga 1843) è ritenuto uno dei maggiori esponenti del romanticismo tedesco, nella sua prima fase e forse il più grande poeta lirico tedesco per la sua visionaria originalità espressiva e tematica. È una figura complessa, nel cui pensiero, affidato tanto ai versi delle poesie quanto a frammenti filosofici, confluiscono e s'intrecciano in modo irriducibile sia temi tipici delle estetiche del classicismo e del primo romanticismo, sia elementi teorici del neoplatonismo e dell'idealismo, nonché spunti del panteismo eretico di G. Bruno e G.C. Vanini e della teologia cristiana.
La vita
Perse prestissimo il padre, che era un influente funzionario del ducato di Svevia, e poco più tardi anche il patrigno. La madre decise di avviare il figlio alla carriera di pastore protestante e gli fece frequentare i seminari di Denkendorf e di Maulbronn. In questo periodo il giovane, oppresso dall'atmosfera regnante in quegli istituti, che pure univano al pietismo una notevole apertura sociale e un orientamento di pensiero illuministico, fece i suoi primi tentativi poetici. Nel 1788 passò al rinomato collegio teologico di Tubinga, dove strinse amicizia con i futuri maestri dell'idealismo tedesco, Hegel e Schelling, con i quali condivise l'entusiasmo per la rivoluzione francese e per la filosofia kantiana. Conclusi gli studi, rifiutò d'intraprendere, come desiderava la madre, la carriera di pastore e si impiegò come precettore a Waltershausen (1793). Si recò poi (1795) a Jena, dove frequentò Schiller. Nel 1794 pubblicò sulla rivista “Neue Thalia” un frammento del suo romanzo Hyperion. A Jena seguì anche con autentico entusiasmo le lezioni di Fichte; insoddisfacente fu invece l'esito di una visita a Goethe nella vicina Weimar. Lasciò Jena per Francoforte e assunse l'incarico di precettore presso il banchiere Gontard: qui s'innamorò della madre dei suoi quattro allievi, Suzette, che cantò con il nome di Diotima in molte liriche e nel romanzo Iperione. Nel 1798 la situazione si fece insostenibile, e Hölderlin fu costretto a lasciare casa Gontard. A Homburg tentò la carriera dello scrittore indipendente, ma né Goethe né Schiller né gli amici da lui invitati a collaborare a una progettata rivista “Iduna” gli risposero. Dopo una breve parentesi come precettore a Hauptwyl in Svizzera (1801), fece ritorno alla casa materna di Nürtingen, nella speranza di ottenere una cattedra di letteratura greca a Jena. Partì quindi per Bordeaux, dove di nuovo fu precettore presso il console di Amburgo (1801-02). Dopo pochi mesi si mise in cammino a piedi per rientrare in Germania: la notizia, appresa forse durante il viaggio, della morte di Suzette Gontard finì con lo stravolgergli la mente. Quando raggiunse la casa materna, era ormai preda della pazzia. Del malato si occupò il fedele amico E. Sinclair, che dapprima ottenne per lui un impiego di bibliotecario a Homburg (1804): ma la salute psichica del poeta peggiorò a tal punto che nel 1806 fu ricoverato al “Clinicum” di Tubinga, donde l'anno dopo fu congedato come inguaribile. Da allora fino alla morte Hölderlin visse, completamente obnubilato, nella casa del falegname di Tubinga E. Zimmer, ricevendo visitatori attratti dalla sua nascente fama letteraria e scrivendo per essi brevi versi in rima baciata, cui apponeva date fantasiose firmandosi “Scardanelli”.
L'idealizzazione romantica della Grecia classica
In Hölderlin i temi più tipicamente romantici della natura, dell'amore e dell'arte confluirono nell'esaltazione della grecità, in maniera alquanto atipica giacché il romanticismo con Novalis, L. Tieck e altri scrittori predilesse piuttosto il Medioevo. Egli fu certamente influenzato dal classicismo di Winckelmann e di Schiller, ma nella Grecia antica vide soprattutto il luogo in cui si erano realizzate quell'armonia tra uomo e natura, quella divinizzazione del cosmo che erano per lui, come per altri romantici, oggetto di dolorosa aspirazione. Differenti dai canoni del classicismo sono, di conseguenza, i soggetti e i modelli da lui prediletti nella storia della cultura greca, dalla figura di Empedocle all'ode pindarica della cui metrica e tecnica si appropriò allontanandosi dal modello delle odi di Klopstock, che aveva seguito nelle sue prime composizioni. A Empedocle sono dedicate una poesia giovanile e una tragedia in versi giunta in tre diverse redazioni tutte incompiute, La morte di Empedocle (Der Tod des Empedokles, 1797-1800). La figura del filosofo greco che i concittadini esiliarono e che, come vuole una tradizione leggendaria, avrebbe posto fine alla propria vita gettandosi nel cratere dell'Etna, assume in Hölderlin il significato universale di una volontà volta a sanare la scissione prodottasi nel corso della storia fra l'uomo e la natura, fra il soggetto e l'oggetto e, in ultima analisi, fra l'umano e il divino. La società umana infatti, separandosi dalla natura, ha fatto dileguare il Divino dalla terra, e solo la riconciliazione tra umanità e natura determinerà il ritorno del Divino. Tale è il senso del messaggio che Empedocle, soprattutto nella terza frammentaria versione della tragedia di Hölderlin, invia ai concittadini: la sostituzione panteistica della natura alle vecchie divinità e la dedizione a essa come superiore forma religiosa. Empedocle diviene in tal modo il portavoce letterario della filosofia che Hölderlin aveva sviluppato a Tubinga in una sorta di manifesto filosofico, steso con Hegel e Schelling e noto come Il primo programma sistematico dell'idealismo tedesco (Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus). In esso, con ardore e ingenuità giovanili, all'“ingranaggio meccanico” dello Stato viene contrapposta una nuova “mitologia della ragione”, capace di accostare al popolo le “idee” della morale, della divinità e della poesia.
L'Iperione
L'unica opera completa pubblicata da Hölderlin è il romanzo epistolare Iperione, ovvero l'eremita di Grecia (Hyperion oder der Eremit in Griechenland, 2 voll., 1797-99). Anche quest'opera è ambientata in Grecia: al suo centro si trova però una vicenda contemporanea, l'insurrezione greca contro la dominazione ottomana del 1770. Iperione, disgustato dalla meschinità del presente, sogna di richiamare in vita l'antico mondo greco; la sua ardente sete di ideale si fonde in lui con l'amore per Diotima, simbolo e insieme incarnazione della sognata bellezza classica. Quando l'amico Alabanda gli addita l'insurrezione come via pratica per ricreare la Grecia d'un tempo, Iperione lo segue nonostante i moniti di Diotima, secondo cui solo la bellezza può portare all'attuazione dell'ideale. Lo svolgimento degli eventi persuade Iperione che l'ideale non può vivere sulla terra: i combattenti della libertà hanno saccheggiato e assassinato come i loro nemici, e Diotima è morta, vanificando anche la speranza di un'arcadica vita a due, lontano dalla patria e dalla storia. Deluso anche dalla Germania (dove si era recato), rappresentata come il paese della vita macchinale e della scissione interiore, refrattaria a ogni miglioramento, Iperione trova rifugio in una panteistica fusione con la natura, in un'unione estatica fra io e cosmo. La prosa ritmica del romanzo (del quale in seguito l'autore iniziò una redazione in pentametri giambici) è in qualche caso enfatica con le sue reiterate esclamazioni e la metaforica un po' oleografica, ma è pervasa da una profonda commozione trasfigurata in pagine di esemplare limpidezza.
Gli scritti di estetica
Hölderlin fu autore anche di una serie di scritti a tema estetico, da leggere non come brevi trattati di una poetica personale che riflette su se stessa, bensì come frammenti, illuminazioni, torsi di una più ampia e robusta intuizione filosofica. Sebbene non possano essere ricondotti a un progetto unitario, questi suoi frammenti teorici (Sul procedimento dello spirito poetico; Giudizio, possibilità, essere; Il divenire nel trapassare; Il significato delle tragedie; Note a Sofocle) configurano un vigoroso sforzo di pensiero per cogliere l'unità dell'essere e la totalità della vita. Fra i temi trattati, quello del tragico occupa una posizione centrale. Hölderlin lo sviluppa affrontando i nodi speculativi della contraddizione (che vive nella stessa antiteticità del reale ed è irrisolvibile nella mediazione concettuale), della dualità di finito e infinito, della contrapposizione di libertà e necessità. Il destino dell'uomo è imprescindibile dalla “contraddizione che salva”, cioè dalla sofferenza e dalla consumazione di tutte le cose perché si liberi “ciò che, massimamente, è gioioso”.
Le poesie
Le poesie costituiscono senza dubbio il punto più alto della produzione letteraria di Hölderlin. Prese le mosse dall'imitazione di Klopstock, il poeta fu influenzato, negli anni dello studio a Tubinga, dal classicismo illuministico di Schiller: ne sono prova evidente l'inno Grecia (Griechenland), che si rifà anche nel titolo a Gli dei della Grecia di Schiller, e gli inni All'umanità (An die Menschheit), All'amore (An die Liebe), Alla bellezza (An die Schönheit). Tuttavia già in alcune liriche degli anni 1797-98, come la trasognata Quand'ero ancor fanciullo (Da ich ein Knabe war) o l'impetuoso e tragico Canto del destino di Iperione (Hyperions Schicksalslied), inserito poi nel romanzo, o ancora l'inebriato Alle parche (An die Parzen), si annuncia inconfondibilmente la voce di una nuova individualità poetica. La rima scompare, il verso greco viene ricreato nella lingua moderna facendo corrispondere alle sillabe lunghe e brevi quelle con e senza accento; soprattutto si manifesta in essa quel respiro ampio e pieno che nasce da un uso arditissimo dell'enjambement, da un'aggettivazione imprevedibile ma non bizzarra, da una variegata creazione di parole composte.
Le composizioni scritte tra il 1800 e il 1801 accentuano queste caratteristiche: si tratta di odi vaste e complesse, talvolta oscure ma animate da un ritmo possente e da metafore e accostamenti sorprendenti; si ricordano: Ai tedeschi (An die Deutschen), Heidelberg, Il Neckar (Der Neckar), Vita (Lebenslauf), Il fiume incatenato (Der gefesselte Strom), Ganimede (Ganymed). Particolarmente interessante è poi il poemetto in esametri L'arcipelago (Der Archipelagus), grande evocazione del mondo greco-ionico.
Nell'ultima fase della produzione poetica di Hölderlin, che va dal ritorno dalla Francia alla fine del 1804, nascono i grandi inni che l'autore definì “patriottici” perché dedicati alla patria tedesca (Germania, Germanien; La migrazione, Die Wanderung), ai suoi fiumi (Alle fonti del Danubio, Am Quell der Donau; Il Reno, Der Rhein), al suo popolo e ai suoi poeti (Canto tedesco, Deutscher Gesang). In forme sempre più ampie e attraverso redazioni spesso molteplici, con queste liriche Hölderlin sembra voler assegnare alla propria terra il rinnovamento della divina unione di uomini e natura, scomparsa con la fine del mondo greco.
Infine nell'ultimo gruppo di grandi elegie appare con misteriosa e impressionante grandezza la figura del Cristo: terzo e ultimo dopo Eracle e Dioniso insieme con i quali forma un “trifoglio” (L'Unico, Der Enzige), egli agita “la fiaccola dell'Altissimo” facendo rilucere “dall'anima prigioniera un sorriso” (Pane e vino, Brot und Wein) e si appresta a riconciliare quanto era stato diviso (Conciliatore, tu che mai creduto, Versöhnender, der du nimmergeglaubt). Cristo rappresenta da un lato la fine del mondo greco e della sua unità felice, dall'altro il nunzio di una nuova età della riconciliazione. È possibile che Hölderlin vedesse in Cristo, sulla scorta di letture gnostiche riscontrabili anche nel giovane Hegel, un “eone”, uno dei messi della divinità che fanno da intermediari tra questa e gli uomini. In Patmos il poeta, rapito come l'apostolo Giovanni, ripercorre il cammino del Verbo dall'Oriente all'Occidente, annunciando una nuova epifania del divino: infatti ai poeti spetta il compito di rinnovare e attualizzare il messaggio divino.
Una scelta delle poesie di Hölderlin fu edita da G. Schwab e L. Uhland nel 1826: grazie a essa il poeta incominciò a essere letto e apprezzato dai contemporanei; con il provento delle vendite venne altresì pagato in parte il mantenimento dell'uomo ormai sopravvissuto a se stesso.
A lungo H. dovette aspettare prima di ottenere i riconoscimenti che si è unanimi oggi nel ritenere a lui dovuti, come a uno dei sommi della poesia europea.
                                                                                                       Tratto da Sapere.it

Il canto di Iperione

Voi trascorrete nell'alta luce,
un molle suolo calcando,
geni beati!

Il divino splendore dell'aria
leggero vi sfiora,
come le dita del musico
Le sacre corde.

Sciolti dal fato, simili al bimbo
che dorme, i Celesti respirano.
Casto, concluso in umile boccio,
il loro spirito fiorisce eterno;
s'aprono i loro occhi beati
in una calma eterna chiarezza.

Ma a noi non è dato posare
in nessun luogo. Svaniscono,
cadono a un tratto i miseri umani,
ciecamente travolti,
d'una in altr'ora,
come l'acqua precipite
di roccia in roccia,
nell'ignoto, per sempre.


 

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