lunedì 1 dicembre 2014

Giovani Poeti

“Quando il potere porta l'uomo verso l'arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la ricchezza e la diversità dell'esistenza.  Quando il potere corrompe, la poesia purifica poiché l’arte afferma le fondamentali verità umane ...”
J. F. Kennedy (Discorso all'Amherst College  26.10. 1963)


Risponde alle nostre 8 domande
Michael Crisantemi

venerdì 28 novembre 2014

WILLIAM BLAKE

Gli auguri dell’innocenza

Vedere un mondo in un 
grano di sabbia 
e un universo in un fiore di campo, 
possedere l'infinito sul palmo della mano 
e l'eternita' in un'ora."

Non esprimere l’amore

Non esprimere l’amore,
Quello vero è sempre ascoso;
è uno spiro che si muove
Silenzioso, misterioso.
.
Dichiarai, il mio grande amore
il mio cuore le si aprì,
con paure orrende, fredda
ah, tremando, lei fuggì.
.
Come fu da me lontana
un viandante l’accostò,
Silenzioso, misterioso:
sospirò e la conquistò.

Eternità

Chi lega a sè una Gioia
distrugge la vita alata;
Ma chi bacia la gioia in volo
vive nell’alba dell’Eternità


giovedì 27 novembre 2014

Pedro Salinas

NON RESPINGERE I SOGNI PERCHE' SON SOGNI 
Non respingere i sogni perché sono sogni.
Tutti i sogni possono
essere realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno. Se sogniamo
che la pietra è pietra, questo è la pietra.
Ciò che scorre nei fiumi non è acqua,
è un sognare, l'acqua, cristallina.
La realtà traveste
il sogno, e dice:
"Io sono il sole, i cieli, l'amore".
Ma mai si dilegua, mai passa,
se fingiamo di credere che è più che un sogno.
E viviamo sognandola. Sognare
è il mezzo che l'anima ha
perché non le fugga mai
ciò che fuggirebbe se smettessimo
di sognare che è realtà ciò che non esiste.
Muore solo
un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.


LA VOCE A TE DOVUTA
È stato, accadde, è vero.
Fu in un giorno, fu una data
che segna il tempo al tempo.
Fu in luogo che io vedo.
I suoi piedi toccavano il suolo
questo stesso che noi tocchiamo.
Il suo vestito
era simile ad altri
che indossavano altre donne.
Il suo orologio
sfogliava calendari,
senza scordare l'ora :
come contano gli altri.
E quello che lei mi disse
fu in idioma del mondo,
con grammatica e storia.
Così vero 
che sembrava menzogna.
No.
Devo viverlo dentro,
me lo devo sognare.
Togliere il colore, il numero,
il respiro tutto fuoco,
con cui mi bruciò nel dirmelo.
Mutare tutto in forse,
in mero caso, sognandolo.
Così, quando vorrà smentire
ciò che mi disse allora,
non mi morderà il dolore
d'una felicità perduta
che io tenni tra le braccia,
come si tiene un corpo.
Crederò di aver sognato.
Che tutte quelle cose, così vere,
non ebbero corpo, ne' nome.
Che perdo
un'ombra, un sogno ancora.




TU VIVI SEMPRE NEI TUOI GESTI
Tu vivi sempre nei tuoi gesti.

Con la punta delle tue dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.

Dai tuoi occhi, solo da loro
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Nient'altro. 

E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.

Perché tu hai capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
che mai capirai,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che incontri nel tuo specchio
ogni giorno al risveglio,
ed è il tuo. I prodigi
che già sono decifrati.

E ti sei sbagliata mai,
solo una volta, una notte
che t'invaghisti di un'ombra
- l'unica che ti è piaciuta -
Un'ombra pareva.

E desiderasti abbracciarla.
Ed ero io.



IL MODO TUO D'AMARE
Il modo tuo d'amare
è lasciare che io t'ami.
Il sì con cui ti abbandoni
è il silenzio. I tuoi baci
sono offrirmi le labbra
perché io le baci.

Mai parole e abbracci
mi diranno che esistevi
e mi hai amato: mai.

Me lo dicono fogli bianchi,
mappe, telefoni, presagi;
tu, no.
E sto abbracciato a te
senza chiederti nulla, per timore
che non sia vero
che tu vivi e mi ami.

E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.

Non debba mai scoprire
con domande, con carezze
quella solitudine immensa
d'amarti solo io.



sabato 22 novembre 2014

Endre Ady


Poeta e giornalista ungherese (Ermindszent 1877-Budapest 1919). È la personalità più forte e originale della lirica magiara moderna. Dopo due volumi di poesie (1899 e 1903) in cui è ancora alla ricerca di se stesso, conVersi Nuovi (1906) Ady intonò il suo canto nuovo in cui identificava il proprio destino con quello della nazione. Con questa raccolta Ady rinnovò la lirica magiara nella forma e nel contenuto, sollevando scalpore negli ambienti più diversi, letterari e politici. In Ady vivono e si sovrappongono diversi contrasti: quello religioso tra protestantesimo e cattolicesimo, quello sociale (fu orgoglioso della sua origine nobiliare, ma fu un nobile povero, di tendenze socialiste), quello politico (di fede democratica, ma di gusti aristocratici, fu un nietzschiano). Tutti questi contrasti contribuivano a tenere il suo intelletto in una feconda tensione, alimentata anche da frequenti soggiorni a Parigi e dal suo amore per “Leda”. Dal 1906 al 1914 pubblicò quasi ogni anno un volume di poesie: Sangue e oro (1907), Sul carro di Elia (1908), Amerei che mi amassero (1909), I versi di tutti i segreti (1910), La vita che fugge (1912), Chi mi ha visto (1914), cui seguirono Alla testa dei morti (1918),Ultime navi (postumo, 1923). In tutte il poeta mette a nudo il suo animo, esprimendo con personale linguaggio simbolista, le contraddizioni, le nostalgie, i desideri che lo agitano, un profondo sentimento religioso, il terrore della morte, e denunciando l'arretratezza della sua patria e l'aspirazione a un miglioramento delle condizioni del suo popolo.



POESIA DEL RAGAZZO PROLETARIO

Mio padre dalla mattina alla sera
suda, va e viene, lavora;

non c'è un uomo migliore di mio padre,
non c'è, non c'è in nessun posto

Porta una giacca logora mio padre,
ma a me compra un vestito nuovo,
e mi parla di un bel futuro,
amorosamente.

Dei ricchi è prigioniero mio padre,
e lo maltrattano, lo umiliano, poveretto,
ma la sera ci porta lo stesso
una buona speranza.

Mio padre è un combattente, un grand'uomo,
per noi vende orgoglio e forza,
 ma non umilia mai se stesso
davanti al denaro.

Se mio padre non volesse
non esisterebbero i ricchi,
così ogni mio piccolo compagno sarebbe
come sono io.

Se mio padre dicesse una sola parola,
ah, molti tremerebbero,
e molti non vivrebbero così allegramente
e felicemente.

Mio padre lavora e lotta,
non c'è nessuno più forte di lui, forse;
è più potente anche del re
mio padre.


PROTEGGO I TUOI OCCHI


Stringo con la mia mano
che invecchia, la tua mano,
e proteggo i tuoi occhi
con questi occhi che invecchiano.

Belva di spente età, mi bracca l'orrore,
sono arrivato da te
attraverso rovine di mondi,
e attendo, insieme a te, atterrito.

Stringo con la mia mano
che invecchia, la tua mano,
e proteggo i tuoi occhi
con questi occhi che invecchiano.

Non so perché né sino a quando
rimarrò qui con te:
ma stringo la tua mano
e proteggo i tuoi occhi.


SULL’ORLO DI UN PRECIPIZIO SELVAGGIO

Siamo in piedi,rigidi e dimenticati
sull’orlo di un precipizio selvaggio,
l’uno all’altra attaccati;
nè un lamento, lacrima o parola:
per precipitare basta una mossa.
Come legami di carne e sangue
ci proteggono le nostre labbra,
blu e tremanti, ci tengono attaccati.
Finché mi baci non abbiamo parole,
ma dì una parola e cadiamo entrambi.

giovedì 20 novembre 2014

Nazim Hikmet

La vita non è uno scherzo

Prendila  sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell'aldilà.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia



Autobiografia (1962)

Sono nato nel 1902
non sono più tornato
nella città natale
non amo i ritorni indietro
quando avevo tre anni
abitavo Alep
con mio nonno pascià
a 19 anni studiavo a Mosca
all'università comunista
a 49 ero a Mosca di nuovo
ospite del comitato centrale
del partito comunista
e dall'età di 14 anni
faccio il poeta
alcuni conoscon bene le varie specie
delle piante altri quelle dei pesci
io conosco le separazioni
alcuni enumerano a memoria i nomi
delle stelle io delle nostalgie
ho dormito in prigioni e anche in alberghi di lusso
ho sofferto la fame compreso lo sciopero della fame
e non c'è quasi pietanza
che non abbia assaggiata
quando avevo trent'anni hanno chiesto
la mia impiccagione
a 48 mi hanno proposto
per la medaglia della Pace
e me l'hanno data
a 36 ho traversato in sei mesi
i quattro metri quadrati
di cemento
della segregazione cellulare
a 59 sono volato
da Praga all'Avana
in diciotto ore
ero di guardia davanti alla bara di Lenin nel '24
e il mausoleo che visito sono i suoi libri
han provato a strapparmi dal mio Partito
e non ci son riusciti
e non sono rimasto schiacciato
sotto gl'idoli crollati
nel 51 con un giovane compagno
ho camminato verso la morte
nel 52 col cuore spaccato ho atteso la morte
per quattro mesi sdraiato sul dorso
sono stato pazzamente geloso delle donne ch'ho amato
non ho invidiato nemmeno Charlot
ho ingannato le mie donne
non ho sparlato degli amici
dietro le loro spalle
ho bevuto ma non sono stato un bevitore
ho sempre guadagnato il mio pane
col sudore della mia fronte
che felicità
mi sono vergognato per gli altri e ho mentito
ho mentito per non far pena agli altri
ma ho anche mentito
senza nessun motivo
ho viaggiato in treno in areoplano in macchina
i più non possono farlo
sono stato all'Opera
i più non ci vanno non sanno
nemmeno che cosa sia
e dal '21 non sono entrato
in certi luoghi frequentati dai più
la moschea la sinagoga la chiesa
il tempio i maghi le fattucchiere
ma mi è capitato
di far leggere la mia sorte
nei fondi di caffè
le mie poesie sono pubblicate
in trenta o quaranta lingue
ma nella mia Turchia
nella mia lingua turca
sono proibite
il cancro non l'ho ancora avuto
non è necessario che l'abbia
non sarò primo ministro
d'altronde non ne ho voglia
anche non ho fatto la guerra
non sono sceso nei ricoveri
nel mezzo della notte
non ho camminato per le vie
sotto gli aerei in picchiata
ma verso i sessant'anni mi sono innamorato
in una parola compagni
anche se oggi a Berlino sono sul punto
di crepar di tristezza
posso dire di aver vissuto
da uomo
e quanto vivrò ancora
e quanto vedrò ancora
chi sa.


Non vivere su questa terra come un inquilino

Ragazzo mio,
io non ho paura di morire.
Tuttavia, ogni tanto
mentre lavoro
nella solitudine della notte,
ho un sussulto nel cuore,
saziarsi della vita vita, figlio mio,
è impossibile.
Non vivere su questa terra come un inquilino,
o come un villeggiante stagionale.
Ricorda:
in questo mondo devi vivere saldo,
vivere
come nella casa paterna.
Credi al grano,
alla terra,
al mare
ma prima di tutto
all'uomo.
Ama la nuvola,
il libro
la macchina,
ma prima di tutto
l'uomo.
Senti infondo al tuo cuore
il dolore del ramo che secca,
della stella che si spegne,
della bestia ferita,
ma prima di tutto
il dolore dell'uomo.
Godi di tutti i beni terrestri,
del sole,
della pioggia
e della neve,
dell'inverno e dell'estate,
del buio e della luce,
ma prima di tutto
godi dell'uomo. 




martedì 18 novembre 2014

Attilio Bertolucci

Attilio Bertolucci è nato  nel 1911 a San Prospero, vicino Parma. Cominciò a scrivere poesie sin da giovanissimo. Nel '28 collaborò alla Gazzetta di Parma, di cui Cesare Zavattini, amico di sempre, era diventato redattore capo. L'anno successivo, Bertolucci pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Sirio.

Nel '31 s'iscrisse alla Facoltà di Legge a Parma.Nel '33 conobbe la compagna di tutta una vita, Ninetta Giovanardi, e nel '32  pubblicò l'intenso e bellissimo Fuochi in novembre, che gli meritò gli elogi di Montale e di Sereni (la corrispondenza con Sereni è raccolta in Una lunga amicizia, del '94). Abbandonati gli studi giuridici, frequentò le lezioni di critica dell'arte tenute da Roberto Longhi all'università di Bologna. Nel '38, le nozze con Ninetta. Un anno dopo fondò con Ugo Guanda "La Fenice", prima collana di poesia straniera in Italia. Il 17 marzo del '41 nacque il figlio Bernardo, che diventerà il grande regista che sappiamo. Il 9 settembre del '43 si trasferì con Ninetta e il piccolo Bernardo a Casarola, nell'antica casa dei Bertolucci.

Nel '47 nacque il secondo figlio, Giuseppe, anch'egli futuro regista. Si trasferì nel '51 a Roma, proprio presso l'abitazione di Longhi. Il '51 è un anno felicissimo per Bertolucci: esce La capanna indiana da Sansoni e vince il Premio Viareggio. Fra i primi lettori del libro c'è Pier Paolo Pasolini, che diventa uno sei suoi amici più cari. Nel '58 uscì da Garzanti, a sua cura, un'antologia di Poesia straniera del Novecento, stracolma di sue traduzioni. Nel '71 venne pubblicato quello che resta, probabilmente, il migliore tra i libri del poeta parmigiano, Viaggio d'inverno. Nel '75, dopo la morte di Pasolini, Bertolucci fu chiamato a dirigere - con Siciliano e Moravia - la prestigiosa rivista Nuovi Argomenti.

Per molti anni il poeta fu impegnato nella scrittura e nella rifinitura della Camera da letto, che uscirà in due libri, nell' 84 e nell'88, vincendo il Viareggio. Nel '90 appaiono Le poesie, tutte le sue raccolte di liriche già edite, che ottengono il premio Librex-Guggenheim. Nel '93 esce una nuova raccolta di liriche, Verso le sorgenti del Cinghio, e nel '97 pubblica La lucertola di Casarola, che contiene poesie giovanili e componimenti più recenti. Nello stesso anno esce il Meridiano Mondadori delle sue Opere, a cura di Paolo Lagazzi e Gabriella Palli Baroni. Il grande poeta si è spento il 14 giugno 2000.


VENTO

Come un lupo è il vento
che cala dai monti al piano,
conca nei campi il grano
ovunque passa è sgomento.

Fischia nei mattini chiari
illuminando case e orizzonti,
sconvolge l’acqua nelle fonti
caccia gli uomini ai ripari.

Poi, stanco s’addormenta e uno stupore
prende le cose, come dopo l’amore.



SOLITUDINE

Io sono solo
il fiume è grande e canta
chi c’è di là?
Pesto gramigne bruciacchiate.
Tutte le ore sono uguali
per chi cammina
senza perché
presso l’acqua che canta.
Non una barca
solca i flutti grigi
che come giganti placati
passano davanti ai miei occhi
cantando.
Nessuno.



LA ROSA BIANCA 

Coglierò per te
l'ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l'hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
E' un ritratto di te a trent'anni,
un po' smemorata, come tu sarai allora.



lunedì 17 novembre 2014

Sabrina Longari nella rubrica Giovani Poeti

"Scusa, non capisco. Io voglio tutto e ancora di più. L'amore deve riempire il cuore, la casa, l'anima. Poco o metà mai mi completarono." C, Lispector



Risponde alle nostre 8 domande
Sabrina Longari

lunedì 10 novembre 2014

Friedrich Schiller




Inno Alla gioia 
Gioia, bella scintilla divina,
figlia degli Elisei,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.
L'uomo a cui la sorte benevola,
concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c'è riuscito, lasci
piangente e furtivo questa compagnia!
Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva ,
un amico, provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!
Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!
***

 L'inno alla gioia  è il movimento finale della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven composta nel 1823 e nel 1972 e adottato come inno ufficiale dell'Unione Europea. Si tratta in realtà dell'inno non solo dell'Unione europea ma anche dell'Europa in generale. Il testo fu composto nel 1785 da Friedrich von Schiller e che successivamente  Beethoven musicò. Risalta la visione idealistica di Schiller sulla nascita di un sentimento  di fratellanza fra gli uomini che Beethoven apprezzava e condivideva. 

giovedì 6 novembre 2014

Ode alla melagrana.






È la melagrana profumata
un cielo cristallizzato.
(Ogni grana è una stella
ogni velo è un tramonto.)
Cielo secco e compresso
dalle unghie del tempo.
La melagrana è come un seno
vecchio di pergamena,
e il capezzolo si è fatto stella
per illuminare il campo
È un’arnia minuscola
col favo insanguinato,
e le api l’hanno formata
con bocche di donne.
Per questo scoppiando ride
con porpore di mille labbra…
La melagrana è un cuore
che batte sul seminato,
un cuore sdegnoso
dove non beccano gli uccelli,
un cuore che fuori
è duro come il cuore umano
ma dà a chi lo trafigge
odore e sangue di maggio.
La melagrana è il tesoro
del vecchio gnomo del prato,
quello che parlò con la piccola Rosa,
nel bosco solitario.
Quello con la barba bianca
e il vestito rosso.
È il tesoro che ancora conservano
le verdi foglie dell’albero.
Arca di pietre preziose
in visceri di oro vago.
La spiga è il pane. È Cristo
in vita e morte rappreso.
L’olivo è la costanza
della forza e del lavoro.
La mela è il frutto carnale,
sfinge del peccato,
goccia di secoli che tiene
i contatti con Satana.
L’arancio è la tristezza
delle corolle profanate,
così diventa fuoco e oro
ciò che prima era puro e bianco.
Le viti sono la lussuria
che si coagula nell’estate,
e da esse la chiesa ricava,
benedetto, il santo liquore.
Le castagne sono la pace
del focolare. Cose d’altri tempi.
Crepitare di vecchi legni,
pellegrini smarriti.
La ghianda è la serena
poesia del passato,
e il cotogno d’oro debole
la pulizia della salute.
Ma la melagrana è il sangue,
sangue sacro del cielo,
sangue di terra ferita
dall’ago del torrente.
Sangue del vento che viene
dal rude monte graffiato.
Sangue del mare tranquillo,
sangue del lago dormiente.
La melagrana è la preistoria
del sangue che portiamo,
l’idea di sangue, chiuso
in globuli duri e acidi,
che ha una vaga forma
di cuore e di cranio.
O melagrana aperta, tu sei
una fiamma sopra l’albero,
sorella carnale di Venere,
riso dell’orto ventoso.
Ti circondano le farfalle
credendoti un sole fermo
e per paura di bruciarsi
ti sfuggono i vermi.
Perché sei la luce della vita,
femmina dei frutti. Chiara
stella della foresta
del ruscello innamorato.
Potessi essere come sei tu, frutto,
passione sulla campagna! 

                    
Federico Garcia Lorca ,    Canzone orientale         
dal  Libro de poemas, 1921

giovedì 23 ottobre 2014

Haiku d’autunno



 Giardini di Kyoto.


Vento d’autunno
allo sguardo
tutto è haiku
 Kyoshi Takahama 


Si oscura la montagna,
e ruba il rosso
alle foglie dell'autunno

Yosa Buson

 

Lontano e vicino si ode
crosciar di cascate
tra foglie cadute

Masaoka Shiki

 

Foglie
adagiate su una pietra
sepolta nell'acqua

Naito Joso

 

Con la prima brina,
chissà cosa sogneranno
nelle barche?

Takarai  Kikaku



martedì 21 ottobre 2014

Adelaide Nascetti : Ai tre Moschettieri e a mio Padre







Ho bisogno di cantare
Per non sentire il vuoto che hai lasciato
Ho bisogno di cantare
Per trasformare il mio grido di dolore in dolci note
Per continuare a fare quello che amavi tu
Per percepire il tuo dna mescolarsi e fluire con il mio
Ho bisogno di stordirmi e fare tante cose
Per pensare nel giusto modo al tuo destino
Per dare un senso alla mia vita
Ho bisogno di cantare
Per nascondere il mio pianto
Per chiudere gli occhi e accarezzare il tuo viso
Per chiudere gli occhi e sentire il tuo respiro
Ma ho bisogno di cantare
Per non morire.

Tratta da: "Il cerchio è formato e io sono tra i mondi"  Ed. Thyrus

giovedì 9 ottobre 2014

Marina Ivanovna Cvetaeva



Superficialità! – Caro peccato,
compagna mia e nemica mia carissima!
Tu versasti il sorriso nei miei occhi,
e la mazurka in tutte le mie vene.
Da te ho imparato a non tener l’anello,
non m’avrebbe la vita presa in sposa!
A cominciare a caso, dalla fine,
e a finire però sempre daccapo.
A essere fuscello, e essere acciaio,
in questa vita, in cui si può sì poco…
a scioglier la tristezza con la cioccolata,
e a sorridere in viso a chiunque passa!

Nomadismo
Un mondiale nomadismo è cominciato nel buio:
sono gli alberi che vagano sulla terra notturna.
Sono i grappoli che fermentano in vino dorato,
sono le stelle che di casa in casa peregrinano,
sono i fiumi che il cammino cominciano a ritroso!
E io ho voglia di venire da te sul petto – a dormire.








giovedì 11 settembre 2014

David Herbert Richards Lawrence


Notte di dicembre

Togliti la mantella, il cappello
e le scarpe, e fermati al mio focolare
dove nessuna donna si è mai seduta.
Ho acceso il fuoco più vivido; lasciamo
tutto il resto nel buio, e sediamo
accanto alla luce della fiamma.
Il vino è caldo sul focolare;
riflessi vanno e vengono.
Riscalderò con i baci le tua membra 
finché risplendano.


mercoledì 10 settembre 2014

Georges Bataille.



Poeta, saggista e romanziere francese (Billom, Puy-de-Dôme, 1897-Orléans 1962). Attratto dal movimento surrealista (anche se a esso non volle mai aderire), cercò, attraverso i postulati erotici, magici e metafisici, di esprimere letterariamente la sua natura di “mistico senza Dio”. Giunto alla conclusione che l'unica realtà consiste nella propria esistenza, si impegnò alla ricerca di una comunicazione tra gli uomini per la “conquista stessa dell'uomo”. Nei suoi scritti si avverte in particolare l'influsso di Nietzsche, Heidegger e Kierkegaard
Attratto dal cattolicesimo per un breve periodo, collaborò alla rivista La critique sociale (1931-34) e animò con A. Breton il gruppo antifascista Contre-Attaque (1935-36). Fu tra i fondatori del Collège de sociologie (1937-39); diresse le riviste Documents (1929-30), Acéphale (1936-37) eCritique, da lui creata (1946-62); scrisse saggi, poesie e romanzi erotici. Il suo pensiero, dominato dalla ricerca degli stati estremi in cui dolore e gioia, misticismo ed erotismo coincidono, trova espressione nei tre volumi che pubblica fra il 1943 e il 1945: L’expérience intérieure (1943; trad. it. L’esperienza interiore); Le coupable(1944; trad. it. Il colpevole) e Sur Nietzsche (1945). L’esperienza mistica evocata nello scritto sull’interiorità (che valse a B. le critiche di Sartre) si caratterizza come confronto fra estasi e dissolutezza (débauche) e trova un punto di approdo in Nietzsche, interpretato come il filosofo non della volontà di potenza, ma della «volontà di chance», ossia del tentativo di esistere nell’immanenza degli istanti, senza considerare l’azione in rapporto alla razionalità e sapendo, anzi, ridere dei fini materiali e morali. Negli scritti successivi la riflessione si amplia a temi antropologici, etnografici, economici e sociologici. In La part maudite (1949; trad. it.La parte maledetta), B. analizza un’economia generale che ha come fine non il consumo (consommation), ma il consumarsi (consumation). In L’érotisme (1957; trad. it. L’erotismo) gli eccessi dell’erotismo, che pur trasgredendo divieti relativi alla carne, diventano accostabili al «sacrificio», evidenziano l’ambivalenza dei sentimenti umani relativi al sacro e il coincidere, nel silenzio, fra il vertice dell’erotismo e quello della contemplazione dell’essere (raggiunto mediante la «trasgressione della filosofia»). Importanti anche gli scritti su La souveraineté(post., 1976; trad. it. La sovranità) e le lezioni del 1951-52 sul non sapere (Conférences sur le non-savoir), pubblicate nel 1962.





L'Arcangelico,  III

Un lungo piede nudo sulla mia bocca
Un lungo piede contro il cuore
sei la mia sete sei la mia febbre

piede di whisky
piede di vino
piede smanioso di schiacciare

oh scudiscio mio dolore mio
tallone altissimo che mi schiaccia
rimpiango di non essere morto

ho sete
implacabile sete
deserto senza via d'uscita

improvvisa bufera di morte dove grido
cieco in ginocchio
con le orbite vuote

corridoio dove rido di una notte insensata
corridoio dove rido dello sbatter di porte
dove adoro un fulmine

scoppio in singhiozzi
lo squillo di tromba della morte
mugghia nel mio orecchio

martedì 9 settembre 2014

Cesare Pavese


Hai un sangue, un respiro

Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano ‒
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano ‒
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte ‒
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.

Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.

Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell'aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.


La terra e la morte

Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t'ingombrano e vanno nel vento
Membra e parole antiche.

Tu tremi nell'estate


Luna piena: fate largo ai sognatori!



SULLA LUNA 
Gianni Rodari

Sulla Luna, per piacere, 
non mandate un generale: 
ne farebbe una caserma 
con la tromba e il caporale. 
Non mandateci un banchiere 
sul satellite d’argento, 
o lo mette in cassaforte 
per mostrarlo a pagamento. 
Non mandateci un ministro 
col suo seguito di uscieri: 
empirebbe di scartoffie 
i lunatici crateri. 
Ha da essere un poeta 
sulla Luna ad allunare: 
con la testa nella Luna 
lui da un pezzo ci sa stare… 
A sognar i più bei sogni
è da un pezzo abituato: 
sa sperare l’impossibile 
anche quando è disperato. 
Or che i sogni e le speranze 
si fan veri come fiori, 
sulla Luna e sulla Terra 
fate largo ai sognatori!

domenica 7 settembre 2014

Giuseppe Gioacchino Belli




La Bocca della Verità -

“In d’una cchiesa sopra a ‘na piazzetta 
Un po’ ppiù ssù de Piazza Montanara 
Pe’ la strada che pporta a la Salara, 
C’è in nell’entrà una cosa bbenedetta.  
Pe’ tutta Roma quant’è llarga e stretta 
Nun poterai trovà ccosa ppiù rara.
E’ una faccia de’ pietra che tt’impara 
Chi ha detta la bucìa, chi nu’ l’ha detta. 
S’io mo a sta faccia, c’ha la bbocca uperta, 
Je ce metto una mano, e nu’ la strigne 
La verità da me ttiella pe’ certa.
Ma ssi ficca la mano uno in bucìa, 
Essi sicuro che a ttirà né a spigne 
Quella mano che llì nun vié ppiù via.”

Sonetto, scritto nel 1832  il 2 dicembre -

sabato 6 settembre 2014

Dario Bellezza



                                                                          Fuori di me

Alla follia, non badate, datemi retta!
Pensate piuttosto ai nuovi ritmi in cui
immergere la vostra vita perduta dietro
l'apparenza delle cose. Cercate l'immortalità,
l'eterna questione del mare splendente
dentro il sole di giugno che diventa nero
a notte e scompare nelle tenebre. 
Io dimenticato relitto di una civiltà
passata sono il solo che piango i defunti
miraggi di un'età morta e ancora
coprendomi di ridicolo scrivo lettere
d'amore a traditi amori di un'epoca trascorsa,
la giovinezza, e ricordo lo studente
che piegava la sua retta immagine
a misurare l'angolo della sua carnale diversità,
a versare nel seno asciutto di una madre
occasionale la solitudine futura dei suoi
giorni tutti uguali. Lasciatevi andare
verso il mare della vita! Assaporatene
la musica sbiadita, e trionfatore sarà
solo il Tempo e il suo nero oltraggio, la Morte!
Mentre io ancora scriverò che il poeta
chiude in stremate parole il suo cervello
mirando il muro in alto della sua stanza
e le poesie scivoleranno via, senza pietà,
e nessun Dio le registra, incarnandosi per un attimo.
Il ritmo non sa di mirtillo acerbo
e piegarsi sulla bianca pagina di un diario
il meglio dell'ispirazione fa in un fiato dileguare.
Chiamatemi così: pazzo, deserto testimone
di un deserto da percorrere in una torrida
estate, senza acqua raccolta nella gobba
di un domestico dromedario, e la mia poesia
definitela con crudeltà e livore come lubrica,
oscena, interessata e manigolda consigliera
di sventura o furto di anime giovanili
in cerca di nuove reincarnazioni.
Sappiate però che brucio di gioia, di allegria
feroce dentro la mia casa buia, prigioniero
di calamitose idee, slabbrando la mia merda
in privata visione senza lo scempio
di immagini e talenti altrui. Sono un genio
geniale che la vita spassa da un dolore all'altro,
teatrale, senza ferite apparenti che non siano
d'amore, piaghe purulente lasciate da una donna
fatale che nessuno conosce. 
Slabbro la mia merda in privata visione: 
ghirigori collettivi e birbanti. 
Muratemi in una galera con la bibbia e i santi.